Come per molte altre tematiche abbiamo celebrato ieri l'ennesima giornata mondiale della salute mentale. Buona cosa. Tuttavia queste celebrazioni spesso si riducono ad una ritualità formale cui non corrisponde un impegno credibile. Come per il resto della sanità ci pare stia avanzando anche in questo campo un modello pseudo-aziendalista. Inoltre torna a prevalere un approccio fatto di diagnosi e conseguenti terapie che ha poco rispetto delle persone e della loro storia e che ha della malattia una concezione organicista molto povera.
Il disagio psichico non è riducibile ad una semplice patologia del cervello. Ha componenti relazionali e sociali assolutamente individuali e richiede pertanto un approccio più complesso nel quale la comunicazione e la relazione hanno un ruolo non secondario. E' vero che la malattia esiste, che non è del tutto riducibile a problematiche di tipo sociale e che anche diagnosi e farmaci hanno un ruolo importante nella cura. Ma occorrerebbe una "cultura" della malattia più attenta alla individualità insopprimibile della persona, che va aiutata a diventare protagonista del proprio percorso di guarigione e soprattutto occorrerebbe una vera comunità curante.