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domenica 7 giugno 2020

IMPIANTO BITUMI - UN CASO DI STUDIO MOLTO INTERESSANTE


Un caso di studio interessantissimo Ci verrebbe da dire che se in Asfalti Brianza probabilmente nulla è stato mai a norma (mancata VIA, inadeguata valutazione della compatibilità urbanistica, mancata valutazione dell'impatto dal punto di vista sanitario, mancata valutazione della compatibilità col contesto di questa azienda insalubre di prima classe, volture automatiche delle autorizzazioni precedenti, autocertificazioni dell'impatto emissivo richieste alla ditta anziché prodotte dagli organi istituzionali di controllo ecc.) dopo l'ordinanza del 13/8/2019 che ha modificato il bruciatore nulla è sicuramente più a norma. La vecchia AUA non può più valere. Il bruciatore lavora senza autorizzazioni, messa a regime e valutazione delle emissioni sia dal punto di vista odoriogeno che sanitario. A quanto si legge qui si configurano un sacco di violazioni amministrative e di potenziali reati penali...


CQSASD

  

sabato 17 marzo 2018


Impianti Bitumi nel Mugello: emissioni anomale, valutazioni inesistenti, monitoraggi rinviati


Ieri 16 marzo ho partecipato ad una assemblea organizzata dal Comitato di cittadini di Massorondinaio località nel Comune di Scarperia e San Piero in provincia di Firenze, dove è attivo da molti anni un impianto di produzione di conglomerato bituminoso che produce forti disagi ai numerosi residenti della zona prodotti soprattutto da emissioni odorigene, polverose oltre a quelle rumorose.
Quello che segue è il testo completo della relazione da me tenuta alla Assemblea nella quale analizzo le lacune istruttorie e autorizzatorie di questo impianto.
Sintetizzando questo impianto, come mi accade di verificare spesso nelle varie vertenze che seguo in diverse Regioni, non ha avuto al momento della sua collocazione:
1. una valutazione di impatto ambientale che ne dimostrasse la compatibilità con il sito in cui collocato
2. una istruttoria che ai sensi della normativa sulle industrie insalubri di prima classe ne verificasse la compatibilità sanitaria
3. mancanza di monitoraggi e controlli sistematici in grado di fornire risposte certe alle numerose segnalazioni dei cittadini che subiscono i disagi prodotti dall’impianto
4. rinvio dei monitoraggi per ragioni burocratiche ed organizzative interne agli enti di controllo a dimostrazione della carenza strutturale degli stessi
5. un atteggiamento, da parte della Amministrazione Comunale, non trasparente e soprattutto non coinvolgente verso i cittadini nell'affrontare la  questione dei disagi manifestati. 

Questo caso conferma quello che sostengo da tempo  nel giudizio sugli amministratori locali: prima di agire non devono chiedersi cosa potrebbe succedere a loro ma cosa succederebbe ai cittadini se loro non agissero!

Di seguito la mia relazione...


STORIA AMMINISTRATIVA IMPIANTO
La società  Bitumi Mugello, poi confluita nella Piandisieve, aveva (atto provinciale 1217 del 20/4/2010) una autorizzazione in forma semplificata per il recupero di rifiuti (articolo 216 del 152/2006) costituiti sia da inerti da demolizione, terre e rocce da scavo e fresato di asfalto per la produzione di conglomerato bituminoso a caldo

La quantità di fresato [NOTA 1] di asfalto – classificato come rifiuto (CER 17302) – autorizzata era pari a 50.000 t/a ( e produzione di conglomerato bituminoso per 120 t/h) con un tasso di sostituzione degli inerti nel  prodotto finale pari al 30%). In particolare si veda quanto riportato nella conferenza dei servizi del 26/10/2010 per Bitumi Mugello, la quantità annuale di materiali prevista era di:
1. inerti (ghiaia e sabbia) : 116.700 t/a
2. bitume: 9.260 t/a
3. fresato CER 17302 50.000 t/a
4. filler: 9.260 t/a

Successivamente sono state rilasciate:
1. Autorizzazione emissioni in atmosfera n. 3588 del 9/11/2010  per attività di produzione di conglomerato bituminoso
2. Presa d’atto della Relazione di chiusura, da parte della Bitumu Mugello srl,  per le attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi in data 15/4/2015
3. Volturazione autorizzazione emissioni n. 3588 del 9/11/2010 dalla Bitumi Mugello srl alla Piandisieve srl, integrata nella AUA successiva
4. Autorizzazione unica ambientale (AUA) n. 9705 del 7/2/2017 rilasciata a Piandisieve srl per attività di trattamento produzione e vendita di inerti di cava



LA LOCALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO: LIMITROFA AL CENTRO ABITATO DI S. PIERO A PIEVE
A ridosso dell'impianto, nei primi anni duemila, è stata consentita la creazione di una nuova area residenziale con 38 abitazioni (ad opera peraltro dello stesso imprenditore su un terreno di sua proprietà) ed è stato creato, come opera compensativa dell’attraversamento della TAV, un ampio parco pubblico attrezzato per feste e manifestazioni;
Si veda questa foto che chiarisce le distanze tra l’impianto e il centro abitato.



RELATIVAMENTE ALLA OMESSA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
Al momento del rilascio da parte della Provincia di Firenze della Autorizzazione 1217 del 20/4/2010  e successivamente della Autorizzazione n. 3588 del 9/11/2010 l’impianto in oggetto era assoggettabile a procedura di Verifica di assoggettabilità a VIA. In realtà questa procedura non venne espletata e non è stata applicata neppure in sede di VIA postuma al momento del rilascio della AUA e ancora prima della volturazione della autorizzazione alle emissioni del 9/11/2010.

Secondo l’Allegato IV alla Parte II del DLgs 152/2006, già in vigore al momento del rilascio della autorizzazione alle emissioni del 2010,  l’impianto in oggetto rientrava tra le categorie di progetti da sottoporre a Verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni. Si veda il punto 7 di tale allegato: “ 7. Progetti di infrastrutture: z.b) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.”
Il Fresato di asfalto autorizzato come comunicazione di inizio attività nel 2010 era di 50.000 tonnellate/anno che corrispondono a 136 al giorno quindi ben oltre il limite delle 10 fissato dalla normativa sopra citata per l’applicabilità della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA.

Quindi il fatto che l’impianto fosse soggetto a semplice comunicazione di inizio attività ex articolo 216 DLgs 152/2006 non escludeva la applicazione della VIA.  Sul punto si è pronunciata, proprio in riferimento alla normativa italiana in materia, la sentenza della Corte di Giustizia sez. V 21/9/1999 (causa C- 392/96). Quindi nel 2010 quando venne autorizzato l’impianto in oggetto tale autorizzazione andava preceduta dalla VIA almeno nella modalità della verifica di assoggettabilità  
La procedura di VIA, anche nella versione della  verifica di assoggettabilità (comma 2 articolo 4 Direttiva 85/337/CEE) applicando i criteri per lo svolgimento della verifica avrebbe quasi certamente portato il progetto a VIA ordinaria (comma 1 articolo 4 Direttiva 85/337/CEE) e avrebbe permesso una valutazione adeguata,  in questa fase iniziale della installazione ed evoluzione gestionale dell’impianto, al sito in cui era collocato.  Come è noto i criteri per la verifica di assoggettabilità a VIA sono:
1.le caratteristiche [NOTA 2] del progetto compreso gli impatti cumulativi;
2.la localizzazione e quindi la sensibilità ambientale del sito interessato , tenendo conto in particolare: dell’utilizzazione attuale del territorio, della ricchezza relativa qualità e capacità di rigenerazione delle risorse naturali, della capacità di carico dell’ambiente naturale;
3. gli impatti potenzialmente significativi del progetto in relazione ai criteri dei punti precedenti e tenendo conto in particolare: della estensione dell’impatto in termini geografici e di popolazione, della grandezza e complessità dell’impatto, della probabilità dell’impatto, della durata – frequenza - reversibilità dell’impatto.

Senza considerare che la applicazione della VIA avrebbe comportato una specifica valutazione degli aspetti di impatto sanitario dell’impianto in oggetto fin dal momento della sua iniziale autorizzazione. All’epoca era in vigore (e lo è stato fino all’anno scorso) il Dpcm 27/12/1988 (che definisce il contenuto degli studi di impatto ambientale che devono accompagnare il progetto sottoposto a VIA , all’allegato 2 contiene una sezione F Salute Pubblica [NOTA 3].
Comunque il parametro salute deve essere valutato anche in sede di screening (verifica di assoggettabilità a VIA) come risulta dall’allegato V Parte II del DLgs 152/2006 sui “disturbi ambientali”,
mentre la nuova Direttiva del 2014 ha modificato la Direttiva quadro 2011/92/UE introducendo all’allegato III anche “il rischio per la salute umana (ad esempio, quelli dovuti alla contaminazione dell'acqua o all'inquinamento atmosferico)” tra i parametri da valutare per decidere se applicare o meno la procedura ordinaria di VIA
Su come definire questo Parametro salute si vedano le linee guida per la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS) nei procedimenti di VIA-VAS-AIA del sistema delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente  e dell’Ispra pubblicata nel 2015.
Le linee guida fanno riferimento alla sezione F (Salute Pubblica [NOTA 4]) all’allegato 2 al Dpcm 27/12/1988. QUINDI COSTITUISCONO PARAMETRO ISTRUTTORIO per valutare il parametro salute pubblica nelle procedura di VIA VAS e AIA.
In particolare due sono i punti di dette linee guida non presi in considerazione nel caso in esame
a) la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto;
b) l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera

Nella AUA del 2017 si parla apparentemente solo di trattamento e recupero di inerti da cava ma non si esclude che la attività dell’impianto abbia assorbito anche quella di cui era titolare la Bitumi  Mugello srl. In questo caso l’impianto rimane sottoponibile a VIA (verifica di assoggettabilità) secondo quanto sopra esposto in quanto tratta materiale, o può trattarlo potenzialmente, classificato come rifiuti: fresato.
A tal fine si sottolinea che  secondo il comma 4 articolo 3 Dpr 59/2013:
4. Nei casi in cui si procede alla verifica di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l'autorizzazione unica ambientale può essere richiesta solo dopo che l'autorità competente a tale verifica abbia valutato di non assoggettare alla VIA i relativi progetti.”
A conferma di quanto sopra la Regione Toscana ha rilasciato con adozione n. 9705 in data 7/7/2017 alla ditta Piandisieve l'Autorizzazione Unica Ambientale avente validità di 15 anni, con il parere favorevole dell'Amministrazione Comunale di Scarperia e San Piero (ALLEGATO 7).  Nel parere favorevole del Comune di Scarperia  al rinnovo della autorizzazione  allo scarico delle acque reflue in fognatura bianca, si fa rinvio alla precedente autorizzazione rilasciata in data 12/11/2012 “tenuto conto delle dichiarazioni di non modifica degli impianti” e quindi confermando la attività di produzione di conglomerato bituminoso pur non essendo dichiarata esplicitamente nel ciclo produttivo sottoposto al rilascio di AUA dl 17 luglio 2017.



IL FRESATO È RIFIUTO
La Corte di Cassazione [NOTA 5], con sentenza n. 37168 del 09/06/2016 ha ribadito che il fresato è classificabile come rifiuto (CER 17.03.01 oppure 17.03.02, il primo pericoloso il secondo solo speciale). Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza Cassazione n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.

Ora la documentazione presentata in sede sia di istanza di AUA che di rilascio della stessa non ha dimostrato assolutamente che il suddetto fresato possa essere definito come sottoprodotto.



VIA EX POST
Alla luce di quanto sopra analizzato risulta con chiarezza che all’impianto in questione andava applicata la VIA anche al momento dell’ultima autorizzazione (AUA del 2017) nella forma della VIA ex post o VIA postuma, cosa che invece non è stata fatta da parte della Regione Toscana.
In cosa consiste la VIA ex post peraltro normata dalla stessa legge Toscana sulla VIA ex articolo 43 legge regionale 10/2010?

La Corte di Giustizia, in una nuova sentenza del 28 febbraio 2018 (causa C117-017), partendo dal caso di un impianto a biomasse ha ribadito i seguenti principi fondanti di una corretta applicazione della VIA ex post che non violi il diritto comunitario ed in particolare la Direttiva 2011/92se l’impianto o progetto non hanno avuto la VIA al momento della loro prima autorizzazione ed invece avrebbero dovuto averla. Vediamo i principi:
1. in caso di omissione di una VIA prescritta dal diritto dell’Unione, gli Stati membri hanno l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di detta omissione
2. non osta a che tale impianto/progetto formi oggetto, dopo la sua realizzazione … “, di una nuova procedura di valutazione da parte delle autorità competenti al fine di verificare la conformità ai requisiti di tale direttiva e, eventualmente, di sottoporlo a VIA, purché le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto dell’Unione o di esimersi dall’applicarle.”
3. “Occorre altresì tenere conto dell’impatto ambientale intervenuto a partire dalla realizzazione del progetto.
4. Le autorità nazionali chiamate a pronunciarsi in tale contesto devono altresì tenere conto dell’impatto ambientale generato dall’impianto a partire dalla realizzazione dei lavori”.

La ratio di questi principi è quella di evitare che la VIA venga evasa ulteriormente magari in sede di nuove autorizzazioni e che una volta applicata la VIA ex post (fino ad allora la mancante) questa rispetti le finalità della Direttiva comunitaria sula VIA secondo la quale:
1. La VIA deve valutare  preventivamente l’impatto ambientale di un progetto
2. Per valutare l’impatto ambientale del progetto occorre considerare tutti i criteri per misurare tale impatto a cominciare da quello della localizzazione.

In sostanza la VIA applicata postuma non può limitarsi a valutare le modifiche intervenute in un progetto ma l’impatto dell’intero progetto fin da quando venne realizzato.
Solo così si colma e si sana la violazione della mancata VIA iniziale.
Solo così si capisce se l’impianto e il progetto sono stati collocati in un sito adeguato e sostenibile ambientalmente e sotto il profilo sanitario.
Solo così si possono prevedere a conclusione della VIA ex post, condotta secondo i suddetti principi, le prescrizioni da applicare all’impianto e al progetto che lo rendano compatibile con il sito oppure che ne avviino la dismissione.

Il TAR TOSCANA (sentenza n. 156 pubblicata lo scorso 30 gennaio 2018) partendo da un caso di mancata di Valutazione di Incidenza (VINCA) ad un progetto edilizio che impattava su un area tutelata dalla normativa UE sulla biodiversità (SIC)  riafferma i principi della VIA ex post parificando la VINCA ex post con la VIA ex post.
Interessante è l’ulteriore precisazione che porta la sentenza del TAR. Dove si afferma che se la VIA o VINCA ex post dimostrino un rilevante impatto ambientale dell’impianto/progetto si può arrivare anche ad annullare in sede di autotutela la autorizzazione allo stesso. Aggiunge il TAR che questo può avvenire solo se si dimostra l’esistenza di un superiore interesse pubblico (ambientale sanitario) a quello imprenditoriale nel caso specifico. Questo può avvenire (come è avvenuto nel caso trattato dalla sentenza del TAR Toscana qui esaminata) solo svolgendo una corretta e completa istruttoria di VIA/VINCA ex post secondo i principi sopra esaminati.



RESTA COMUNQUE UN FATTO GRAVISSIMO SOTTO IL PROFILO DELLA TUTELA SANITARIA 
Per i residenti interessati dagli impatti dell’impianto quest’ultimo è stato autorizzato senza una adeguata valutazione (all’epoca obbligatoria sicuramente) della compatibilità dello stesso con un sito a forte presenza di residenza civile.
Questo avrebbe richiesto, al di la della questione formale di applicazione della VIA una applicazione rigorosa della normativa sulle industrie insalubri di prima classe anche alla luce delle reiterate segnalazioni sui fenomeni odorigeni e di emissioni polverose e rumorose. 
Prima di continuare nella lettura del post guardate questi video  







LE EMISSIONI ODORIGENE , POLVERULENTE E RUMOROSE DALL’IMPIANTO IN OGGETTO
Innumerevoli sono stati da anni ad oggi gli esposti e le segnalazioni alle autorità per l’irrespirabilità dell’aria a causa della produzione di conglomerato bituminoso oltreché per le polveri e il rumore generato dalla lavorazione di inerti presso lo stabilimento Piandisieve di via Massorondinaio 12 in S. Piero a Sieve.

La nuova linea di produzione di conglomerato bituminoso da fresato autorizzata nel 2010 rese l’aria ancora più mefitica, tanto che in data 17 maggio 2011 fu presentato un esposto indirizzato al Sindaco di S. Piero a Sieve, alla P.O. Qualità Ambientale della Provincia di Firenze, al Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’ASL Mugello e all’ARPAT zona Mugello, a firma di n. 37 cittadini abitanti nella zona circostante l’impianto.

Nel 2017 dopo alcuni anni di attività ridotta durante l’estate si è avuta una impennata della produzione di conglomerato bituminoso con accensione quotidiana degli impianti per parecchie ore. Ciò ha provocato una nuova ondata di proteste ed esposti da parte della popolazione circostante per l'irrespirabilità dell'aria;

Quindi la questione degli impatti odorigeni è un tema presente agli enti autorizzatori (Provincia prima e ora Regione).

Nella autorizzazione alle emissioni n. 3588 del 2010 si affermava alla prescrizione n. 8: “8) di stabilire in caso di maleodoranza, esposti o qualora si ravvisino problemi di carattere igienico sanitario e/o alto, che questo Ente si riserva la facoltà di rivedere in qualunque momento la presente autorizzazione”.
Le emissioni odorigene sono continuate senza che questa prescrizione venisse mai attuata. Non solo ma il fenomeno odorigeno  è stato del tutto rimosso proprio nell’ultima autorizzazione (AUA del 2017)



RELATIVAMENTE ALLA MANCATA APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SULLE INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE
L’impianto in oggetto  rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima classe ai sensi del D.M. 5 settembre 1994, sia perché tratta materiali come i conglomerati bituminosi (si veda il punto 13 sezione B Parte I allegato al DM 5/9/1994) sia perché effettua macinazione e frantumazione di minerali e rocce (si veda il punto 83 sezione B Parte I allegato al DM 5/9/1994);

L’impianto in oggetto ha una localizzazione limitrofa  ad aree a forte presenza residenziale questo dato oggettivo avrebbe richiesto una adeguata applicazione della normativa sulle industrie insalubri che non è avvenuta nel caso in esame

Il Piano strutturale del Comune di S. Piero a Sieve (approvato con delibera c.c. 23 del 14.05.2007) alla Tabella 14.1 relativamente alla zona dell’impianto in oggetto: ”vicinanza al centro abitato, in prossimità di aree e strutture di interesse pubblico (parco) e artistico-monumentale (Fortezza di S. Martino) destinazione d’uso incongrua con il contesto.”

Nella lettera del 4/8/2011 il Sindaco del Comune di S. Piero a Sieve, in considerazione del mutato contesto urbanistico intorno all’impianto ha definito una “anomalia nel tessuto edilizio ed ambientale circostante”, invitando la ditta Piandisieve a un tavolo di lavoro per ridefinire le linee di gestione dello stabilimento al fine di attenuarne l’impatto sul territorio, prospettando anche una eventuale dismissione dell’attività.

La lettera del 27 luglio 2011 (ALLEGATO 11) della ASL U.F. Igiene e Sanità Pubblica Zona Mugello con la quale, in risposta all’esposto sottoscritto dai cittadini del 16.05.2011, si individuavano tre problematiche precise:
1.l’attività emette odori che disturbano diversi cittadini sia in prossimità della ditta, in zona Massorondinaio, sia in località Scaffaia, al di là del fiume Sieve.
2. non è stata effettuata alcuna verifica sull’entità del disturbo, quindi sugli effetti che tali emissioni possono aver prodotto e continuare a produrre sulla salute dei cittadini interessati. Questo a prescindere dal rispetto dei limiti di emissioni stabiliti nella autorizzazione in vigore per l’impianto in oggetto.
3. la necessità di regolamentare il rapporto dell’impianto in oggetto e di altri impianti con la sempre maggiore presenza di edifici residenziali, sotto il profilo delle emissioni aeriformi e rumorose.

Nella lettera del 27 gennaio 2014 di ARPAT dove si evidenzia un problema di natura urbanistica; “Questa Agenzia ha compiuto gli accertamenti di competenza in esito a precedenti esposti e riferito l’esito anche al Comune, al quale rinnoviamo l’invito ad una riflessione sullo sviluppo territoriale come anche evidenziato dalla ASL nel parere prot. n. 1586/1625 del 27/7/2011”.

Nella Nota del 29/8/2017 2017  Arpat in risposta alle segnalazione dei cittadini del 9 giugno 2017 e del 4 agosto 2017 conferma il legame tra le emissioni odorigene intollerabili con l’impianto in oggetto: “In riferimento alla sua segnalazione pervenuta il 2/8/2017 prot.n. 54711 per “aria puzzolente irrespirabile e forte odore di bitume” provocato presumibilmente dall’impianto produttivo della Bitumi Piandisieve sito in via Massorondianio, comunichiamo che questo settore predisporrà un controllo compatibilmente con  le risorse a disposizione e con gli impegni già programmati”.  


Ora è noto come  il T.U.LL.SS. art. 216 comma 2 reciti: “La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni;...”
Il comma 5 articolo 216 del T.U.LL.SS. recita: “Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.”

Il comma 1 articolo 217 del T.U.LL.SS. recita: “Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza.”

A sua volta la Circolare del 19 marzo 1982, n. 19, prot. n. 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 2 u.c. secondo cui: “…la classificazione delle lavorazioni insalubri non può e non deve rimanere fine a sé stessa esaurendosi in un mero automatismo burocratico” ma occorre: “… un esame specifico e puntuale (il quale) non può essere realisticamente effettuato - in dettaglio - che dall’autorità locale…  È evidente che qualora da tale esame risulti che le cause d’insalubrità potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima classe dell’elenco, sono state eliminate o quantomeno ridotte in termini accettabili si applica il caso previsto dal 5° comma dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.

E’ altresì noto che la normativa sulle industrie insalubri sopra esposta debba essere inserita nella pianificazione comunale come peraltro confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza 2751/2014) secondo la quale se è vero che normativa nazionale sulle industrie insalubri (articolo 216 del T.U. n.1265/1934) non prevede un divieto assoluto di collocazione di queste negli abitati,  non è precluso né illogico fissare con norme regolamentari parametri più rigorosi di quelli rinvenibili nell’art.216 del T.U.LL.SS. n.1265/1934 al fine di conseguire una più intensa tutela della salute pubblica (vedi anche Cons. Stato, V n.338/1996).

In particolare la sentenza del Consiglio di Stato 2751/2014 sopra citata afferma autorevolmente:  
1. l’opportunità di una diversa ubicazione se l’impianto è sotto i 500 metri dagli abitati
2. la possibilità di ricollocare l’impianto se non corrisponde ad un adeguato livello occupazionale comparabile con i rischi ambientali sanitari e i danni economici alle abitazioni e ai residenti
3. la possibilità di utilizzare le norme tecniche attuative di un piano urbanistico comunale per stabilire  distanze di sicurezza adeguate (la sentenza fa riferimento a distanze sopra i 100 metri) per le industrie insalubri di 1^ classe  rispetto ai confini di zone residenziali o da preesistenti edifici destinati a residenza

Sempre nella direzione di definire poteri e ruoli di Sindaci e Comuni nella pianificazione della localizzazione delle industrie insalubri di prima classe :
1.Consiglio di Stato Sez. III, n. 4687, del 24 settembre 2013: “Legittimità ordine di chiusura di attività pericolosa per la salute. Spetta al sindaco, all’uopo ausiliato dall’unità sanitaria locale, la valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate “insalubri”, e l’esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell’impianto industriale e può estrinsecarsi con l’adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di esalazioni, scoli e rifiuti e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle dell'attività produttiva “
2. Consiglio di Stato, Sez, V, n. 6264, del 27 dicembre 2013: “Legittimità ordinanza sindacale d’immediata chiusura di impianto e attività pericolosa per la salute.  Spetta al Sindaco, all'uopo ausiliato dalla struttura sanitaria competente, il cui parere tecnico ha funzione consultiva ed endoprocedimentale, la valutazione della tollerabilità, o meno, delle lavorazioni provenienti dalle industrie cosiddette "insalubri", l'esercizio della cui potestà potendo avvenire in ogni tempo e potendo esplicarsi mediante l'adozione, in via cautelare, di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività aventi carattere di pericolosità”.
Risulta che l’Amministrazione Comunale competente nel caso in esame non abbia esercitato i poteri riconosciuti al Sindaco alla Giunta e alla struttura dirigenziale da detta normativa anche in contraddizione con quanto affermato nel Piano Strutturale (sopra riportato).

Ne tale comportamento omissivo può essere giustificato dal rilascio delle autorizzazioni nel tempo tanto meno per l’AUA del 2017. Infatti il DPR 133/3/2013 n. 59 (Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale) all’articolo 3 elenca le autorizzazioni settoriali assorbite dall’AUA:
a) autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
b) comunicazione preventiva di cui all'articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste;
c) autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
d) autorizzazione generale di cui all'articolo 272 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
e) comunicazione o nulla osta di cui all'articolo 8, commi 4 o comma 6, della legge 26 ottobre 1995, n. 447;
f) autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99;
g) comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Risulta chiaramente dal suddetto elenco come la lettera della legge non faccia  alcun riferimento ai poteri del Sindaco come Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato sopra.  Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di industrie insalubri anche dopo il rilascio della AUA!

Peraltro la stessa Regione Toscana al punto 8 dell’Autorizzazione Unica Ambientale del 2017 precedentemente citata decreta “di fare salve tutte le altre disposizioni legislative, normative e regolamentari comunque applicabili all’attività autorizzata con il presente atto ed in particolare le disposizioni in materia igienico-sanitaria, edilizio-urbanistica, prevenzione incendi ed infortuni, precisando pertanto che la presente autorizzazione non esonera dalla necessità di conseguimento di altre autorizzazioni o provvedimenti comunque denominati non ricompresi in AUA, previsti dalla normativa vigente per l'esercizio della attività di cui trattasi;”

La suddetta normativa avrebbe quindi richiesto di valutare sin dalla installazione dell’impianto e poi dalle successive modifiche la compatibilità sanitaria dello stesso , questo non è avvenuto attraverso un gioco di rimpallo tra i vari enti come si dimostra di seguito.

Questo comportamento omissivo è ancor più aggravato dal fatto che i fenomeni di disagio continuano ad oggi  come già riportato in precedenza e come dimostra la lettera a firma di 56 cittadini fatta pubblicare online sui media territoriali nel mese di settembre del 2017.

Si veda la lettera di Arpat Dipartimento di Firenze – Settore Mugello del 29 agosto 2017 con quale detto ente: ”predisporrà un controllo compatibilmente con le risorse a disposizione e con gli impegni già programmati.”. 
Inoltre la lettera della Amministrazione Comunale settore Edilizia ed Urbanistica, del 15 settembre 2017, con la quale si afferma genericamente che:
1.L’impianto ha una autorizzazione alle emissioni n. 3588 del 9/11/2010;
2.I controlli Arpat svolti in passato non hanno riscontrato violazioni delle emissioni riferite comunque alla autorizzazione vigente.

Risulta con chiarezza come sia la risposta di Arpat che della Amministrazione Comunale risultino non soddisfacenti sia in riferimento al protrarsi di una problematica che dura da decine di anni sia ai generici impegni di eventuali monitoraggi non definiti nella tipologia e nella tempistica;



SIGNIFICATIVITÀ SANITARIA DELLE EMISSIONI ODORIGE
Le emissioni odorigene protratte nel tempo, a prescindere dal rispetto dei limiti di legge dei valori degli inquinanti emessi, possono produrre in sé danni alla salute.
Si veda in particolare Visto quanto afferma Arpat nel suo bollettino informativo Arpat news del 11/11/2011 n. 217: “la percezione del disagio è esclusivamente di natura personale e può anche diventare una componente di sofferenza psicologica. Una possibile riflessione generale, potrebbe portare a pensare che una prolungata esposizione ad un disturbo, può provocare una sensibilizzazione nella popolazione esposta, generando anche importanti stati d'ansia, che a lungo andare, scalzano il problema stesso, diventando la principale fonte di disturbo. Il tempestivo intervento è quindi da auspicare per contenere questa possibile risposta ansiogena, limitando la deriva e contendo così il problema all'origine."
La stessa Associazione Italiana Bitume Asfalto e Autostrade (SITEB) in una recente pubblicazione “Conglomerati bituminosi : Caratterizzazione e contenimento delle emissioni odorigene e atmosferiche”ha individuato specificità precise in relazione alle emissioni odorigene distinguendole da quelle diffuse e da particolato. In particolare la pubblicazione individua una serie di prescrizioni per limitare o addirittura eliminare le emissioni odorigene nelle attività di produzione dei conglomerati bituminosi, prescrizioni e cautele non prese in considerazione dalla nuova AUA



RIMOZIONE DELLA NORMATIVA E GIURISPRUDENZA CHE IMPONGONO DI INTERVENIRE PER IMPORRE PRESCRIZIONI AL FINE DI LIMITARE LE EMISSIONI ODORIGENE
La lettera a) comma 1 articolo 268 del D.Lgs. 152/2006 così definisce l’inquinamento atmosferico “a) inquinamento atmosferico: ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente;”. Quindi non vi è dubbio che le emissioni odorigene rientrano in tale definizione in quanto possono costituire pericolo per la salute o per l’ambiente e/o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente stesso;

Alla luce della sopra citata normativa nelle autorizzazioni a nuove attività, che possono potenzialmente produrre emissioni odorigene, si possono inserire limiti alle emissioni odorigene (sia direttamente da parte del Comune se di competenza comunale o su richiesta del Comune) all’interno del procedimento di revisione delle autorizzazioni vigenti anche all’impianto in oggetto;

In materia è significativa la sentenza della Cassazione sezione penale n. 36905 del 14/9/2015 che in materia di emissioni odorigene e della loro rilevanza penale ha affermato i seguenti principi:
1. Costituisce principio consolidato di questa Suprema Corte (che va qui ribadito) che la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è reato configurabile in presenza anche di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione, in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell'emissione, attesa l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla salute umana di quello della "normale tollerabilità";
2. Per la realizzazione del reato ex articolo 674 del Codice Penale è sufficiente l'apprezzamento diretto delle conseguenze moleste da parte anche solo di alcune persone, dalla cui testimonianza il giudice può logicamente trarre elementi per ritenere l'oggettiva sussistenza del reato, a prescindere dal fatto che tutte le persone siano state interessate o meno dallo stesso fenomeno o che alcune non l'abbiano percepito affatto. Ne è necessario un accertamento tecnico;
3. Laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL;
4. Ove risulti l'intollerabilità, non rileva, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, l'eventuale adozione di tecnologie dirette a limitare le emissioni, essendo evidente che non sono state idonee o sufficienti ad eliminare l'evento che la normativa intende evitare e sanziona;
5. La definizione di odori “normali”, quali quelli provenienti da un impianto di rifiuti, affermata dai testimoni favorevole alla ditta condannata, sottende questa sì un giudizio soggettivo e non si pone in logico contrasto con il fatto che un elevato numero di altre persone fosse concretamente esposta a esalazioni nauseabonde;
6. Qualsiasi monitoraggio delle emissioni odorigene non può fondarsi su modelli astratti ma sull’applicazione dei modelli in uso alla concreta realtà;

A sua volta il Consiglio di Stato (sentenza n. 4588 del 10/9/2014) ha affermato il principio di precauzione per cui a prescindere dal rispetto dei limiti inquinanti previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se, sulla base di adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento od imporre prescrizioni che eliminino il problema delle emissioni odorigene.

Sul rapporto tra principio di precauzione e possibilità di non rilasciare o addirittura di revocare un autorizzazione da parte delle autorità competenti, si veda  TAR Piemonte Sez. I n. 99 del 22 gennaio 2018. Secondo questa sentenza: Il principio di precauzione implica l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sul collegamento tra la causa, fonte del rischio, e l’effetto negativo. La sua applicazione comporta dunque che, ogni qual volta non vi sia certezza dei rischi di un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione delle Autorità competenti deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti, o solo potenziali.  La valutazione di tali rischi deve essere seria e prudenziale, condotta alla stregua dell'attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, e può anche condurre a non autorizzare l’attività pericolosa nel caso in cui, anche utilizzando le migliori tecniche disponibili, non sia possibile scongiurare con ragionevole certezza l’insorgere di danni per l’ambiente e per la salute umana. Questo, specialmente davanti all’evidente sproporzione tra l’utilità (pubblica e privata) derivante dall’attività pericolosa (nella specie, la possibilità di conferire rifiuti pericolosi in un nuovo sito di discarica) e gli effetti potenzialmente disastrosi derivanti dall’ipotetico realizzarsi dei rischi ad essa sottesi (nella specie, la contaminazione di sistemi acquiferi profondi, in un’area in cui sono presenti pozzi a servizio dei Comuni).”

Quindi anche alla luce della suddetta normativa e giurisprudenza si può affermare che in situazioni di manifesti e perduranti disagi sanitari prodotti da un impianto non risulta sufficiente, dalle esperienze sul campo delle varie Arpa, valutare il progetto in termini “classici” di rispondenza tecnico impiantistica degli impianti di abbattimento alle migliori Tecniche disponibili, ma anche e soprattutto in termini di resa di abbattimento degli odori e che quindi occorre individuare uno STRUMENTO che permetta agli Enti e all’azienda, il controllo ed il monitoraggio degli odori una volta autorizzato il progetto, che non sia la mera fissazione di un valore limite dei singoli inquinanti come invece viene fatto nella recente AUA. Lo strumento può essere quello di fissare limiti in unità odometriche (U.O.) e modelli di monitoraggio periodici delle emissioni odorigene

Questo obiettivo è confermato dalla nuova normativa nazionale (DLGS 183/2017 che ha introdotto l’articolo 272-bis nel DLgs 152/2006) che conferma la necessità  di imporre prescrizioni e limiti di emissioni odorigene all’interno delle autorizzazioni alle emissioni anche di impianti come quello in oggetto

Di fronte a tutto ciò, come già riportato in precedenza nel presente esposto, la nuova AUA rilasciata in data 7 luglio 2017 rimuove completamente la problematica delle emissioni odorigene nonostante nella documentazione allegata si ammette la non modifica dell’impianto rispetto al modello gestione precedente. 
A questo occorre aggiungere, come già riportato in precedenza nel presente esposto, la violazione sistematica del punto 8 delle prescrizioni della Autorizzazione alle emissioni del 2010



DIFFIDA DEL COMITATO E RISPOSTA DEL SINDACO
A conferma di comportamenti omissivi da parte delle Autorità competenti si veda la risposta che il Comune ha dato alla Diffida presentata da una serie di cittadini dello scorso 30/12/2017.
In particolare il Comune nella persona del Sindaco  in data 8/3/2018 rispondendo a detta Diffida ripete quanto già scritto nelle lettera del 15 settembre 2017 in risposta alle segnalazione dei cittadini su emissioni odorigene persistenti presentata nella date del 9 giugno 2017 e del 4 agosto 2017. Tra le altre cose afferma che sarebbero state monitoraggi non ancora conclusi da parte di Arpat.
A sua volta Arpat con lettera del 14/3/2018 conferma che i monitoraggi relativamente alle problematiche odorigene saranno svolti senza definirne tempi e modalità, non solo ma smentisce quanto affermato nella lettera del Sindaco nella lettera di risposta alla Istanza dei cittadini.



OMISSIONE DA PARTE DELLE AUTORITÀ COMPETENTI NELL’APPLICARE LE SANZIONI AMMINISTRATIVE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI AUTORIZZATORIE
L’Autorizzazione unica ambientale assorbe tra le altre la autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (lettera c) comma 1 articolo 3 Dpr 59/2013). Quindi sotto il profilo istruttorio ma anche sanzionatorio si applicano le procedure e le sanzioni previste in relazione a detta autorizzazione ammissioni aeriformi.
In particolare il comma 4 articolo 268 del DLgs 152/2006 recita:
4. L'autorizzazione stabilisce, ai sensi degli articoli 270 e 271: a) per le emissioni che risultano tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e di convogliamento;
b) per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore, la quota dei punti di emissione individuata tenuto conto delle relative condizioni tecnico-economiche, il minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione e le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell'esercizio; devono essere specificamente indicate le sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione, le prescrizioni ed i relativi controlli; c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento
.”

Sotto il profilo delle misure amministrative in caso di violazioni delle prescrizioni agli impianti assoggettati ad AUA si applica quindi anche l’articolo 278 del DLgs 152/2006 sui poteri di ordinanza che recita: “1. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 279 e delle misure cautelari disposte dall'autorità giudiziaria, l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione:
a) alla diffida, con l'assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità devono essere eliminate;
b) alla diffida ed alla contestuale temporanea sospensione dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente
.”

Peraltro lo stesso comma 5 articolo 5 Dpr 5972013 (regolamento che disciplina l’AUA applicata anche all’impianto in oggetto) recita: “5. L'autorità competente può comunque imporre il rinnovo dell'autorizzazione, o la revisione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione stessa, prima della scadenza quando:
a) le prescrizioni stabilite nella stessa impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore;
b) nuove disposizioni legislative comunitarie, statali o regionali lo esigono.





NOTE 
[NOTA 1] Con il termine “fresato d'asfalto” si intende generalmente “il conglomerato bituminoso recuperato mediante fresatura degli strati del rivestimento stradale, che può essere utilizzato come materiale costituente per miscele bituminose prodotte in impianto a caldo” (citazione tratta dalla norma tecnica UNI EN 13108-8).
Il conglomerato bituminoso (o asfalto), che costituisce il tappeto di usura delle strade o di altre strutture viabilistiche. La definizione condivisa è la seguente: “l’asfalto ( o conglomerato bituminoso) è una miscela dosata a peso o a volume di pietrisco, pietrischetto, graniglia, sabbia, filler e legante bituminoso.
Con il termine filler viene indicato l'aggregato di dimensioni ridottissime (< 0,063 mm) che ha la funzione di riempitivo poiché le ridotte dimensioni permettono di ridurre la percentuale di vuoti di un conglomerato artificiale.
Viene utilizzato in diversi campi dell'ingegneria civile e in special modo per il confezionamento di, malteconglomerati cementizie e bituminosi.
I filler sono costituiti da granuli lapidei prevalentemente passanti allo staccio da 0.063 mms e sono classificati in funzione dei trattenuti sugli stacci 2, 0.125, 0.063. 
In italiano, il termine filler è anche usato in un senso più ampio per descrivere sostanze che possono essere aggiunte ad una miscela per migliorare le sue proprietà. Per esempio, la sabbia o fibre negli intonaci potrebbero essere chiamati "filler", sebbene sabbia e fibre di normali dimensioni superino le dimensioni di < 0,063 mm

[NOTA 2] Secondo la Relazione della Commissione UE sullo stato di applicazione della VIA (2003 punto 4.6.4.) Il criterio "rischio di incidenti, per quanto riguarda, in particolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate" rientra nelle "caratteristiche dei progetti"

[NOTA 3] F. Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette delle opere e del loro esercizio con gli standards ed i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto; b) l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera; c) la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere reversibile ed irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la definizione dei relativi fattori di emissione; d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari; e) l'identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte; f) l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della compatibilità con la normativa vigente dei livelli di esposizione previsti; g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio. Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.

[NOTA 4] F. Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette delle opere e del loro esercizio con gli standards ed i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto; b) l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera; c) la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere reversibile ed irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la definizione dei relativi fattori di emissione; d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari; e) l'identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte; f) l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della compatibilità con la normativa vigente dei livelli di esposizione previsti; g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio. Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.

[NOTA 5] E’ ormai pacifico che I materiali bituminosi provenienti da lavori di manutenzione stradale siano da considerarsi rifiuti speciali a tutti gli effetti e non sottoprodotti né terre o rocce da scavo.
La Corte di Appello di Firenze condannava il legale rappresentante di una società ad una rilevante pena pecuniaria per violazione dell’art. 256 d.lgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
La linea di difesa seguita dalla società sosteneva che la fresa d’asfalto, materiale oggetto delle contestazioni, era da considerarsi come sottoprodotto, diversamente da quanto sostenuto dall’accusa che riteneva tale materiale, a tutti gli effetti, rifiuto speciale. Inevitabile il ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 37168 del 09/06/2016, rigettava il ricorso ritenendolo infondato.
Le argomentazioni della sentenza richiamano il concetto stesso di sottoprodotto, la cui definizione è riportata dall’art. 184 bis del d.lgs. 152/2006.
Tale articolo stabilisce che è un sottoprodotto e non un rifiuto, qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.
Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana. Correttamente la Corte di Appello aveva sancito che il fresato d’asfalto andava considerato “rifiuto speciale” e che il comportamento della società aveva violato il succitato art. 256 d.lgs. 152/2006 ed in particolare il comma 1 lett. a), il comma 2 e il comma 4.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.
Entrambe le sentenze eliminano ogni dubbio sulla natura di rifiuto speciale del fresato di asfalto proveniente da lavori di manutenzione straordinaria.
In realtà basta leggere con un minimo di attenzione le condizioni di cui all’art 184 bis del DLvo 152/06 per escludere questa possibilità.
 
Infatti l’art. 2, c. 1, lett. b), definisce residuo di produzione “ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non essere un rifiuto”, con ciò confermando che il sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente esclusione dei residui di consumo o, per esempio, del fresato d’asfalto).