Sintetizziamo qui l'intervento del formatore.
Il Regolamento della Consulta è lo strumento fondamentale da
analizzare. Da tale analisi
emerge in primo luogo il ruolo fondamentale assegnato al Coordinatore della
Consulta.
Il coordinatore deve essere il garante della
partecipazione; il garante dei processi
(definizione dei contenuti ma anche dei processi decisionali); ma anche il garante
delle relazioni fra i membri della Consulta. Il coordinatore
conduce e facilita i lavori della Consulta e cura le relazioni fra i
membri. E’ un ruolo
fondamentale e gravoso.
Il Comma 10 art 5 definisce il metodo scelto per la Consulta:
un metodo partecipativo e inclusivo
Il processo decisionale richiede un serie di passi. In primo luogo occorre un ordine del giorno condiviso
Decidere insieme è difficile
- COME PRENDERE LA DECISIONE
1) Decisione a maggioranza – non è prevista nel
Regolamento.
Il regolamento delle Consulte di Monza privilegia altre
alternative rispetto al modello “maggioritario”. Il modello a maggioranza
infatti causa inevitabilmente una polarizzazione.
Alcuni studiosi parlano di un modello relazionale e
decisionale di tipo paterno (nel senso dell’autorità paterna che si impone) in
contrapposizione ad un modello “fraterno” (relazioni tra pari). Il Regolamento delle Consulte di Monza si ispira maggiormente al secondo modello.
Nella ricerca di un modello più partecipativo e condiviso
anche la disposizione delle persone ha una ricaduta. Il “cerchio decisionale”
risulta più coerente rispetto alla disposizione ex cathedra dove i coordinatori
stanno dietro un tavolo e gli altri fungono da pubblico.
- SUGGERIMENTI PROPOSTI DA "METODI"
In primo luogo occorre mettere in discussione il “mantra
decisionista” secondo il quale quello che conta è sempre e comunque decidere ad
ogni costo. Ovviamente la condizione ottimale sarebbe quella di una decisione
consensuale fondata sulla reciproca fiducia. Ma per arrivare a ciò occorre un metodo di lavoro che aiuti a prevenire
e a gestire le inevitabili situazioni di divergenza e conflitto. Tra l’altro
anche il conflitto non va demonizzato perché correttamente gestito può essere
una risorsa (Bateson: ”stare con la differenza senza eliminarla”) .
Per produrre processi partecipativi orientati al consenso
(ovviamente inteso come libera scelta di ciascuno) è utile considerare 3 fasi
distinte del processo:
- 1)
fase preparatoria
- 2)
fase assembleare
- 3)
fase esecutiva
1) Fase preparatoria
– tutti devono essere informati a priori di tutto (Odg, agenda, tempi, metodo
di lavoro e di processo decisionale, documenti
necessari ecc.)
2) Fase assembleare – Occuparsi di “teste testi e contesto” –
Occorre cura dell’ambiente (ad es. il luogo condiziona – meglio evitare la cattedra
– tutti seduti pariteticamente senza livelli simbolici diversi che creano
separazione – iniziare ricondividendo la fase preparatoria (ricordare odg,
agenda e passi da fare ecc.) – ribadire il metodo: spiegare anche le varie funzioni e
valutare assieme cosa tutti ne pensano (siamo d’accordo sul metodo di lavoro?).
La ricerca di un “metodo del consenso “ richiede infatti un prioritario "consenso sul
metodo".
3) Fase esecutiva -
verifica dell’effetto delle decisioni prese.
Partecipare è sapere per influire. Partecipare è realizzare
assieme. Questo metodo partecipativo si fonda sulla facilitazione. La
facilitazione può essere gestita da specifiche figure professionali ma anche
no. In questo caso la facilitazione può anche essere assunta dall’intero gruppo
o delegata a qualcuno che si sforzi di far funzionare la riunione.
- GESTIONE DELLE SITUAZIONI DECISIONALI CONFLITTUALI
Le posizioni conflittuali non vanno demonizzate. Possono
avere un ruolo utile. Ma occorre anche sapere come gestire queste situazioni. Nella
logica della ricerca del consenso si può chiedere alla “minoranza” di
argomentare per far cambiare idea alla “maggioranza”. Si può anche ricorrere alla “tecnica del rispecchiamento”: chiedere a chi è contro di spiegare la posizione altrui (l’hai capito bene?
Forse in realtà non ci si è capiti e c’è stato un fraintendimento). Alla fine
la minoranza può esporre le proprie tesi. A questo punto si può chiedere se la
maggioranza ha cambiato idea (anche qui usare il “rispecchiamento”: hai capito
bene quello che ti dico?). Anche le maggioranze sono spesso masse fluide i cui membri condividono
un parere ma con sfumature diverse. A questo punto la maggioranza può anche accettare un qualche
cambiamento. Spesso il conflitto nasce infatti da incomprensioni o malintesi. E
qui anche la postura comunicativa è importante.
Alla fine a posizioni invariate la minoranza può dire:
- - confermo il mio disaccordo ma accetto la
decisione della maggioranza. In questo caso il consenso è comunque raggiunto se
- - confermo e dichiaro di accettare con riserva (in
qualche modo la minoranza decide di “stare da parte”. In questo caso la maggioranza deve
dire se accetta tale situazione)
- - rifiuto la decisione e chiedo una sospensione
per valutare meglio
Se la minoranza chiede una sospensione la maggioranza dice
se accetta e in tal modo si torna ai casi 1
o 2.
Alle volte il conflitto resta insanabile e solo qui magari si
opta per un rinvio o per una decisione maggioritaria. Alla fine comunque una
decisione va presa – anche la non decisione è una decisione.
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Altre questioni poste:
Come condividere un parere su questioni rispetto alle quali
non tutti hanno le stesse competenze (ad es. norme urbanistiche)? Risposta: cercare di ovviare fornendo a tutti nella fase
preparatoria le informazioni necessarie.
La partecipazione richiede rigore metodologico.
- Approfondimenti sul tema della FACILITAZIONE
E’ un processo indispensabile. Anche se vi sono presenti
persone con ruoli specifici la facilitazione deve essere un contenuto e un atteggiamento
corale (indispensabile principio di corresponsabilità).
La facilitazione riguarda:
- · Contenuti (capire bene. Stare in tema)
- · Procedure (tempi e fasi del lavoro, compresa la
fase preparatoria)
- · Dimensione socio-affettiva
La cura delle relazioni è un tema
socioaffettivo. Occorre favorire un buon clima del gruppo e coltivare il desiderio
di lavorare insieme con l’altro; non si sta insieme solo per bisogno o per
seguire il mantra del dover-essere. A questo proposito occorre imparare anche a
prendersi cura di sé e a volte è buona cosa prendersi un anno sabbatico. Il
facilitatore (ufficiale o meno) cura tutti questi aspetti.
Suggerimento di metodo: Il coordinatore/facilitatore non
dovrebbe entrare nel merito dei contenuti (a meno che lo espliciti direttamente
e in tal caso è opportuno si faccia sostituire nella funzione di coordinatore.
Il coordinatore infatti può condizionare (è una scelta
discrezionale del coordinatore). L'importante però esplicitare ogni volta. Il
Coordinatore deve avere cura dei processi e delle relazioni. La cura è un
principio etico ma esso va realizzato in un metodo di lavoro).
Obiezione di un ascoltatore: il coordinatore poi si muove
sui tavoli comunali come un portavoce in qualche modo autonomo.
Risposta: nel Tavolo di coordinamento il coordinatore
rappresenta la propria consulta e non fa scelte personali. Il Regolamento non
dice mai che il coordinatore sia un portavoce.
Altre questioni
Chi è il gruppo? Risposta: in quel momento il gruppo è costituito dai
presenti.
Più ci si sente parte di un gruppo e meglio è. I non detti invece producono danni, così come il non darsi regole.
Altri temi importanti
E’ impossibile non comunicare. La comunicazione non verbale nel gruppo ha un ruolo molto importante. Essa è espressione di emozioni potenti.
·
Risultati da enumerare alla fine di ogni
incontro
- Risultati sul piano dei contenuti (cosa abbiamo deciso?)
- Risultati sul piano del processo decisionale (come è
andata?)
- Risultati sul piano dei rapporti (fra i membri del gruppo)
- Risultati sul piano della crescita personale
- Risultati sul piano sociale e politico
Soprattutto i primi tre punti sono importanti per la vita
del gruppo
Se cresciamo tutti assieme cresce il benessere delle nostre
comunità.
Il metodo influenza il prodotto finale del gruppo. I
processi decisionali devono rispettare le indicazioni del Regolamento che deve
essere sempre il punto di riferimento.