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martedì 9 giugno 2020

ASFALTI BRIANZA - RICHIESTA AL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA



Al tavolo prefettizio del 26/11/2019 era presente il Presidente della Provincia di Monza e Brianza in persona, il leghista Luca Santambrogio.
Ebbene da allora a tutto oggi vorremmo fare presente che Asfalti Brianza lavora in totale dispregio delle norme autorizzative. 
Se il Sindaco di Concorezzo non se la sente di prendersi le proprie responsabilità chiediamo che lo faccia almeno il Presidente Santambrogio.

CQSASD

ed ecco, come sempre un po' di "carte"...

29/07/2019 DOCUMENTO PROVINCIA: NO MODIFICHE SENZA MIA AUTORIZZAZIONE La Provincia comunica che secondo la legge la richiesta avanzata da AB ("modifica non sostanziale") per la sostituzione del bruciatore va preventivamente autorizzata e si riserva 60 gg. di tempo. Per inciso la Provincia (conferenza servizi del gennaio 2020) ha poi rifiutato la richiesta di Asfalti Brianza PERCHE' LA SOSTITUZIONE DEL BRUCIATORE E' UNA MODIFICA SOSTANZIALE. 

13/08/2019 Ordinanza del Comune di Concorezzo per la sostituzione del bruciatore breve sintesi: a fronte di continue segnalazioni il 18/4/2019 si riunisce Tavolo (cui presenziano anche ARPA e ATS). Asfalti Brianza manifesta disponibilità (???) e allora si decide di rinviare procedura DGR 3018 e addivenire ad accordo con l'Azienda (?!). nella Conferenza di Servizi del 4/7/2019  AB si impegna a sostituire il bruciatore e a posizionare avanforno (+ cappa aspirante, alert per il monitoraggio dei filtri, impianto fotovoltaico, cogeneratore + cisterna emulsione) arrivando così ad abbattere il 60-70% delle emissioni odorigene e inquinanti. I lavori, dice la precedente ordinanza) si eseguiranno ad agosto 2019.  Il 5/8/2019 la Provincia comunica che come da norme la modifica (che AB ha presentato come "non sostanziale") andrà preventivamente autorizzata e si riserva 60 gg. per la verifica. Di fronte a questo possibile ritardo il Comune di Concorezzo emette (secondo noi in modo inopportuno) una "ordinaza non contingibile in materia igienico-sanitaria". In realtà l'ordinanza "impone" solo ad AB di mettere il nuovo bruciatore entro il 18/8/2020 (senza autorizzazione provinciale). L'ordinanza non dice nulla rispetto ad altre misure di tutela sanitaria (ma neanche di avanforno, alert ecc.).  NOSTRE ANNOTAZIONI: AD OGGI (8/6/2020) L'UNICO INTERVENTO REALIZZATO E' STATO LA SOSTITUZIONE DEL BRUCIATORE che ha prodotto subito ad agosto 2019 un aumento esponenziale di inquinamento e ampliamento dell'area interessata. Tutto il resto è rimasto sulla carta. Resta l'inadeguato filtro a manica e l'impianto funziona con bruciatore mai   messo a regime né autorizzato (cioè non a norma). Anche l'AUA precedente non può più essere considerata valida.

21/1/2020 PROVINCIA: DETERMINA FINALE CONFERENZA SERVIZI

La Provincia prende atto della rinuncia presentata da Asfalti Brianza a nuova AUA per modifica non sostanziale (AB a quanto pare può fare regolarmente quel che le pare e si ripromette di fare futura richiesta per modifica sostanziale) e decreta conclusione negativa della Conferenza di servizi.
La Provincia a questo punto chiarisce che:
AB non è autorizzata a svolgere l'attività di gestione rifiuti (messa in riserva e recupero di rifiuti non pericolosi).
Inoltre AB non è autorizzata a installare le strutture mobili di contenimento (capannoni mobili e strutture di convogliamento emissioni).

Per quanto attiene al nuovo bruciatore la Provincia dichiara che esso è stato installato su ordinanza sindacale (del 13/8/2019). "Questa Provincia rinvia pertanto" al Comune di Concorezzo la verifica della ottemperanza della suddetta Ordinanza sindacale (nostra nota: che non contiene alcuna altra indicazione oltre all'ordine di installazione).

Un rimpallo di responsabilità che pagano i cittadini.

RISULTATO : UN BRUCIATORE NUOVO CHE DALLA SUA INSTALLAZIONE HA PEGGIORATO DI MOLTO LA SITUAZIONE BUTTA I SUOI MIASMI SENZA CHE NESSUNO LO ABBIA AUTORIZZATO NE' MESSO A REGIME. INOLTRE L'AZIENDA LAVORA CON UN'AUA CHE NON PUO' PIU' ESSERE VALIDA VISTO IL CAMBIO DEL BRUCIATORE.

CQSASD

Per corroborare una scelta decisa forniamo al Presidente della Provincia qualche osservazione finale:

Asfalti Brianza : emissioni anomale con abbondanti e annose segnalazioni , valutazioni inesistenti, monitoraggi inadegati

Questo impianto non ha avuto al momento della sua collocazione:
1. una valutazione di impatto ambientale che ne dimostrasse la compatibilità con il sito in cui collocato
2. una istruttoria che ai sensi della normativa sulle industrie insalubri di prima classe ne verificasse la compatibilità sanitaria
3. mancanza di controlli sistematici in grado di fornire risposte certe alle numerose segnalazioni dei cittadini che subiscono i disagi prodotti dall’impianto
4. monitoraggi inadeguati da parte degli enti di controllo.
5. un atteggiamento, da parte delle Amministrazioni non trasparente e soprattutto non coinvolgente i cittadini nell'affrontare la  questione dei disagi manifestati. 




e qualche indicazione normativa 



1) IL FRESATO E' UN RIFIUTO 


IL FRESATO È RIFIUTO
La Corte di Cassazione [NOTA 5], con sentenza n. 37168 del 09/06/2016 ha ribadito che il fresato è classificabile come rifiuto (CER 17.03.01 oppure 17.03.02, il primo pericoloso il secondo solo speciale). Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza Cassazione n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.

Ora la documentazione presentata in sede sia di istanza di AUA che di rilascio della stessa non ha dimostrato assolutamente che il suddetto fresato possa essere definito come sottoprodotto.


NOTA 5] E’ ormai pacifico che I materiali bituminosi provenienti da lavori di manutenzione stradale siano da considerarsi rifiuti speciali a tutti gli effetti e non sottoprodotti né terre o rocce da scavo.
La Corte di Appello di Firenze condannava il legale rappresentante di una società ad una rilevante pena pecuniaria per violazione dell’art. 256 d.lgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
La linea di difesa seguita dalla società sosteneva che la fresa d’asfalto, materiale oggetto delle contestazioni, era da considerarsi come sottoprodotto, diversamente da quanto sostenuto dall’accusa che riteneva tale materiale, a tutti gli effetti, rifiuto speciale. Inevitabile il ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 37168 del 09/06/2016, rigettava il ricorso ritenendolo infondato.
Le argomentazioni della sentenza richiamano il concetto stesso di sottoprodotto, la cui definizione è riportata dall’art. 184 bis del d.lgs. 152/2006.
Tale articolo stabilisce che è un sottoprodotto e non un rifiuto, qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.
Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana. Correttamente la Corte di Appello aveva sancito che il fresato d’asfalto andava considerato “rifiuto speciale” e che il comportamento della società aveva violato il succitato art. 256 d.lgs. 152/2006 ed in particolare il comma 1 lett. a), il comma 2 e il comma 4.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.
Entrambe le sentenze eliminano ogni dubbio sulla natura di rifiuto speciale del fresato di asfalto proveniente da lavori di manutenzione straordinaria.
In realtà basta leggere con un minimo di attenzione le condizioni di cui all’art 184 bis del DLvo 152/06 per escludere questa possibilità.
 
Infatti l’art. 2, c. 1, lett. b), definisce residuo di produzione “ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non essere un rifiuto”, con ciò confermando che il sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente esclusione dei residui di consumo o, per esempio, del fresato d’asfalto).



2) NORMATIVA SPECIFICA PER LE AZIENDE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE (COME ASFALTI BRIANZA)


Ora è noto come  il T.U.LL.SS. art. 216 comma 2 reciti: “La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni;...”
Il comma 5 articolo 216 del T.U.LL.SS. recita: “Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.”
Il comma 1 articolo 217 del T.U.LL.SS. recita: “Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza.”
A sua volta la Circolare del 19 marzo 1982, n. 19, prot. n. 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 2 u.c. secondo cui: “…la classificazione delle lavorazioni insalubri non può e non deve rimanere fine a sé stessa esaurendosi in un mero automatismo burocratico” ma occorre: “… un esame specifico e puntuale (il quale) non può essere realisticamente effettuato - in dettaglio - che dall’autorità locale…  È evidente che qualora da tale esame risulti che le cause d’insalubrità potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima classe dell’elenco, sono state eliminate o quantomeno ridotte in termini accettabili si applica il caso previsto dal 5° comma dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.
E’ altresì noto che la normativa sulle industrie insalubri sopra esposta debba essere inserita nella pianificazione comunale come peraltro confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza 2751/2014) secondo la quale se è vero che normativa nazionale sulle industrie insalubri (articolo 216 del T.U. n.1265/1934) non prevede un divieto assoluto di collocazione di queste negli abitati,  non è precluso né illogico fissare con norme regolamentari parametri più rigorosi di quelli rinvenibili nell’art.216 del T.U.LL.SS. n.1265/1934 al fine di conseguire una più intensa tutela della salute pubblica (vedi anche Cons. Stato, V n.338/1996).

In particolare la sentenza del Consiglio di Stato 2751/2014 sopra citata afferma autorevolmente:  
1. l’opportunità di una diversa ubicazione se l’impianto è sotto i 500 metri dagli abitati
2. la possibilità di ricollocare l’impianto se non corrisponde ad un adeguato livello occupazionale comparabile con i rischi ambientali sanitari e i danni economici alle abitazioni e ai residenti
3. la possibilità di utilizzare le norme tecniche attuative di un piano urbanistico comunale per stabilire  distanze di sicurezza adeguate (la sentenza fa riferimento a distanze sopra i 100 metri) per le industrie insalubri di 1^ classe  rispetto ai confini di zone residenziali o da preesistenti edifici destinati a residenza

Sempre nella direzione di definire poteri e ruoli di Sindaci e Comuni nella pianificazione della localizzazione delle industrie insalubri di prima classe :
1.Consiglio di Stato Sez. III, n. 4687, del 24 settembre 2013: “Legittimità ordine di chiusura di attività pericolosa per la salute. Spetta al sindaco, all’uopo ausiliato dall’unità sanitaria locale, la valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate “insalubri”, e l’esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell’impianto industriale e può estrinsecarsi con l’adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di esalazioni, scoli e rifiuti e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle dell'attività produttiva “
2. Consiglio di Stato, Sez, V, n. 6264, del 27 dicembre 2013: “Legittimità ordinanza sindacale d’immediata chiusura di impianto e attività pericolosa per la salute.  Spetta al Sindaco, all'uopo ausiliato dalla struttura sanitaria competente, il cui parere tecnico ha funzione consultiva ed endoprocedimentale, la valutazione della tollerabilità, o meno, delle lavorazioni provenienti dalle industrie cosiddette "insalubri", l'esercizio della cui potestà potendo avvenire in ogni tempo e potendo esplicarsi mediante l'adozione, in via cautelare, di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività aventi carattere di pericolosità”.
Risulta che l’Amministrazione Comunale competente nel caso in esame non abbia esercitato i poteri riconosciuti al Sindaco alla Giunta e alla struttura dirigenziale da detta normativa anche in contraddizione con quanto affermato nel Piano Strutturale (sopra riportato).

Ne tale comportamento omissivo può essere giustificato dal rilascio delle autorizzazioni nel tempo tanto meno per l’AUA del 2017. Infatti il DPR 133/3/2013 n. 59 (Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale) all’articolo 3 elenca le autorizzazioni settoriali assorbite dall’AUA:
a) autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
b) comunicazione preventiva di cui all'articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste;
c) autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
d) autorizzazione generale di cui all'articolo 272 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
e) comunicazione o nulla osta di cui all'articolo 8, commi 4 o comma 6, della legge 26 ottobre 1995, n. 447;
f) autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99;
g) comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Risulta chiaramente dal suddetto elenco come la lettera della legge non faccia  alcun riferimento ai poteri del Sindaco come Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato sopra.  Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di industrie insalubri anche dopo il rilascio della AUA!

Peraltro la stessa Regione Toscana al punto 8 dell’Autorizzazione Unica Ambientale del 2017 precedentemente citata decreta “di fare salve tutte le altre disposizioni legislative, normative e regolamentari comunque applicabili all’attività autorizzata con il presente atto ed in particolare le disposizioni in materia igienico-sanitaria, edilizio-urbanistica, prevenzione incendi ed infortuni, precisando pertanto che la presente autorizzazione non esonera dalla necessità di conseguimento di altre autorizzazioni o provvedimenti comunque denominati non ricompresi in AUA, previsti dalla normativa vigente per l'esercizio della attività di cui trattasi;”

La suddetta normativa avrebbe quindi richiesto di valutare sin dalla installazione dell’impianto e poi dalle successive modifiche la compatibilità sanitaria dello stesso , questo non è avvenuto attraverso un gioco di rimpallo tra i vari enti come si dimostra di seguito.

3) SANZIONI AMMINISTARTIVE DA APPLICARE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI AUTORIZZATIVE 

OMISSIONE DA PARTE DELLE AUTORITÀ COMPETENTI NELL’APPLICARE LE SANZIONI AMMINISTRATIVE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI AUTORIZZATORIE
L’Autorizzazione unica ambientale assorbe tra le altre la autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'articolo 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (lettera c) comma 1 articolo 3 Dpr 59/2013). Quindi sotto il profilo istruttorio ma anche sanzionatorio si applicano le procedure e le sanzioni previste in relazione a detta autorizzazione a emissioni aeriformi.
In particolare il comma 4 articolo 268 del DLgs 152/2006 recita:
4. L'autorizzazione stabilisce, ai sensi degli articoli 270 e 271: a) per le emissioni che risultano tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e di convogliamento;
b) per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore, la quota dei punti di emissione individuata tenuto conto delle relative condizioni tecnico-economiche, il minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione e le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell'esercizio; devono essere specificamente indicate le sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione, le prescrizioni ed i relativi controlli; c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento
.”

Sotto il profilo delle misure amministrative in caso di violazioni delle prescrizioni agli impianti assoggettati ad AUA si applica quindi anche l’articolo 278 del DLgs 152/2006 sui poteri di ordinanza che recita: “1. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 279 e delle misure cautelari disposte dall'autorità giudiziaria, l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione:
a) alla diffida, con l'assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità devono essere eliminate;
b) alla diffida ed alla contestuale temporanea sospensione dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente
.”

Peraltro lo stesso comma 5 articolo 5 Dpr 5972013 (regolamento che disciplina l’AUA applicata anche all’impianto in oggetto) recita: “5. L'autorità competente può comunque imporre il rinnovo dell'autorizzazione, o la revisione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione stessa, prima della scadenza quando:
a) le prescrizioni stabilite nella stessa impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore;
b) nuove disposizioni legislative comunitarie, statali o regionali lo esigono.





4) A PROPOSITO DI EMISSIONI ODORIGENE 



SIGNIFICATIVITÀ SANITARIA DELLE EMISSIONI ODORIGE
Le emissioni odorigene protratte nel tempo, a prescindere dal rispetto dei limiti di legge dei valori degli inquinanti emessi, possono produrre in sé danni alla salute.
Si veda in particolare Visto quanto afferma Arpat nel suo bollettino informativo Arpat news del 11/11/2011 n. 217: “la percezione del disagio è esclusivamente di natura personale e può anche diventare una componente di sofferenza psicologica. Una possibile riflessione generale, potrebbe portare a pensare che una prolungata esposizione ad un disturbo, può provocare una sensibilizzazione nella popolazione esposta, generando anche importanti stati d'ansia, che a lungo andare, scalzano il problema stesso, diventando la principale fonte di disturbo. Il tempestivo intervento è quindi da auspicare per contenere questa possibile risposta ansiogena, limitando la deriva e contendo così il problema all'origine."
La stessa Associazione Italiana Bitume Asfalto e Autostrade (SITEB) in una recente pubblicazione “Conglomerati bituminosi : Caratterizzazione e contenimento delle emissioni odorigene e atmosferiche”ha individuato specificità precise in relazione alle emissioni odorigene distinguendole da quelle diffuse e da particolato. In particolare la pubblicazione individua una serie di prescrizioni per limitare o addirittura eliminare le emissioni odorigene nelle attività di produzione dei conglomerati bituminosi, prescrizioni e cautele non prese in considerazione dalla nuova AUA




RIMOZIONE DELLA NORMATIVA E GIURISPRUDENZA CHE IMPONGONO DI INTERVENIRE PER IMPORRE PRESCRIZIONI AL FINE DI LIMITARE LE EMISSIONI ODORIGENE
La lettera a) comma 1 articolo 268 del D.Lgs. 152/2006 così definisce l’inquinamento atmosferico “a) inquinamento atmosferico: ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente;”. Quindi non vi è dubbio che le emissioni odorigene rientrano in tale definizione in quanto possono costituire pericolo per la salute o per l’ambiente e/o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente stesso;

Alla luce della sopra citata normativa nelle autorizzazioni a nuove attività, che possono potenzialmente produrre emissioni odorigene, si possono inserire limiti alle emissioni odorigene (sia direttamente da parte del Comune se di competenza comunale o su richiesta del Comune) all’interno del procedimento di revisione delle autorizzazioni vigenti anche all’impianto in oggetto;

In materia è significativa la sentenza della Cassazione sezione penale n. 36905 del 14/9/2015 che in materia di emissioni odorigene e della loro rilevanza penale ha affermato i seguenti principi:
1. Costituisce principio consolidato di questa Suprema Corte (che va qui ribadito) che la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è reato configurabile in presenza anche di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione, in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell'emissione, attesa l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla salute umana di quello della "normale tollerabilità";
2. Per la realizzazione del reato ex articolo 674 del Codice Penale è sufficiente l'apprezzamento diretto delle conseguenze moleste da parte anche solo di alcune persone, dalla cui testimonianza il giudice può logicamente trarre elementi per ritenere l'oggettiva sussistenza del reato, a prescindere dal fatto che tutte le persone siano state interessate o meno dallo stesso fenomeno o che alcune non l'abbiano percepito affatto. Ne è necessario un accertamento tecnico;
3. Laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL;
4. Ove risulti l'intollerabilità, non rileva, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, l'eventuale adozione di tecnologie dirette a limitare le emissioni, essendo evidente che non sono state idonee o sufficienti ad eliminare l'evento che la normativa intende evitare e sanziona;
5. La definizione di odori “normali”, quali quelli provenienti da un impianto di rifiuti, affermata dai testimoni favorevole alla ditta condannata, sottende questa sì un giudizio soggettivo e non si pone in logico contrasto con il fatto che un elevato numero di altre persone fosse concretamente esposta a esalazioni nauseabonde;
6. Qualsiasi monitoraggio delle emissioni odorigene non può fondarsi su modelli astratti ma sull’applicazione dei modelli in uso alla concreta realtà;

A sua volta il Consiglio di Stato (sentenza n. 4588 del 10/9/2014) ha affermato il principio di precauzione per cui a prescindere dal rispetto dei limiti inquinanti previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se, sulla base di adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento od imporre prescrizioni che eliminino il problema delle emissioni odorigene.

Sul rapporto tra principio di precauzione e possibilità di non rilasciare o addirittura di revocare un autorizzazione da parte delle autorità competenti, si veda  TAR Piemonte Sez. I n. 99 del 22 gennaio 2018. Secondo questa sentenza: Il principio di precauzione implica l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sul collegamento tra la causa, fonte del rischio, e l’effetto negativo. La sua applicazione comporta dunque che, ogni qual volta non vi sia certezza dei rischi di un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione delle Autorità competenti deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti, o solo potenziali.  La valutazione di tali rischi deve essere seria e prudenziale, condotta alla stregua dell'attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, e può anche condurre a non autorizzare l’attività pericolosa nel caso in cui, anche utilizzando le migliori tecniche disponibili, non sia possibile scongiurare con ragionevole certezza l’insorgere di danni per l’ambiente e per la salute umana. Questo, specialmente davanti all’evidente sproporzione tra l’utilità (pubblica e privata) derivante dall’attività pericolosa (nella specie, la possibilità di conferire rifiuti pericolosi in un nuovo sito di discarica) e gli effetti potenzialmente disastrosi derivanti dall’ipotetico realizzarsi dei rischi ad essa sottesi (nella specie, la contaminazione di sistemi acquiferi profondi, in un’area in cui sono presenti pozzi a servizio dei Comuni).”

Quindi anche alla luce della suddetta normativa e giurisprudenza si può affermare che in situazioni di manifesti e perduranti disagi sanitari prodotti da un impianto non risulta sufficiente, dalle esperienze sul campo delle varie Arpa, valutare il progetto in termini “classici” di rispondenza tecnico impiantistica degli impianti di abbattimento alle migliori Tecniche disponibili, ma anche e soprattutto in termini di resa di abbattimento degli odori e che quindi occorre individuare uno STRUMENTO che permetta agli Enti e all’azienda, il controllo ed il monitoraggio degli odori una volta autorizzato il progetto, che non sia la mera fissazione di un valore limite dei singoli inquinanti come invece viene fatto nella recente AUA. Lo strumento può essere quello di fissare limiti in unità odometriche (U.O.) e modelli di monitoraggio periodici delle emissioni odorigene

Questo obiettivo è confermato dalla nuova normativa nazionale (DLGS 183/2017 che ha introdotto l’articolo 272-bis nel DLgs 152/2006) che conferma la necessità  di imporre prescrizioni e limiti di emissioni odorigene all’interno delle autorizzazioni alle emissioni anche di impianti come quello in oggetto

Di fronte a tutto ciò, come già riportato in precedenza nel presente esposto, la nuova AUA rilasciata in data 7 luglio 2017 rimuove completamente la problematica delle emissioni odorigene nonostante nella documentazione allegata si ammette la non modifica dell’impianto rispetto al modello gestione precedente. 
A questo occorre aggiungere, come già riportato in precedenza nel presente esposto, la violazione sistematica del punto 8 delle prescrizioni della Autorizzazione alle emissioni del 2010




ed ecco un articolo del 26/11/2019


lunedì 8 giugno 2020

ASFALTI BRIANZA NON PUO' USARE IL FRESATO NELLA PRODUZIONE (MA LO HA GIA' FATTO!)

Asfalti Brianza ha "comunicato" alla Prefettura che non intende proseguire nello smaltimento della montagna di rifiuti impostale. Troppo costoso! Allo stesso modo aveva "comunicato" la rinuncia alla nuova AUA richiesta per "modifica non sostanziale". Rinuncia legata alla reiterata non presentazione delle documentazioni indispensabili richieste. Già la precedente richiesta mirava a poter utilizzare nel ciclo produttivo i rifiuti ammassati sul piazzale, della cui provenienza e natura pare non esista alcuna certificazione. Ribadiamo che a norma di legge qualsiasi riutilizzo di questo fresato sarebbe illegittimo. Ma a questo mira l'azienda.
Intanto rileviamo l'ennesima illegalità già compiuta e "autodenunciata" da AB nel verbale del sopralluogo ARPA del 24/9/2019 in cui ammette di utilizzare il fresato (anche se solo quello proveniente dai propri cantieri; ma come lo distingue se ARPA dice che non c'è alcuna documentazione?)
Intanto continuiamo a respirare la produzione che esce da un impianto obsoleto con un bruciatore nuovo mai autorizzato né messo a regime, con una AUA non più adeguata, insomma senza nessun rispetto della salute dei cittadini. 
Chiediamo che se ne occupino in modo serio la Procura, la Prefettura, i sindaci di Agrate, Brugherio, Monza e soprattutto Concorezzo che ha il potere (a questo punto il dovere) di intervenire immediatamente.

CQSASD

intanto leggetevi le norme (tratte da https://comitatoquartieresantalbino.blogspot.com/2020/06/impianto-bitumi-un-caso-di-studio-molto.html)

IL FRESATO È RIFIUTO

La Corte di Cassazione [NOTA 5 - vedi sotto], con sentenza n. 37168 del 09/06/2016 ha ribadito che il fresato è classificabile come rifiuto (CER 17.03.01 oppure 17.03.02, il primo pericoloso - il secondo solo speciale). 

Nel caso di Asfalti Brianza il Sindaco stesso il 29/1/2020 in Consiglio Comunale ha ribadito che in base all' AUA (Autorizzazione unica ambientale che regola tutte le attività aziendali) Asfalti Brianza non  ha mai potuto né mai potrà utilizzare il fresato nella produzione. Eppure già nel verbale del sopralluogo ARPA del 24/9/2019 Asfalti Brianza stessa ammette una  violazione:  

24/9/2019 - SOPRALLUOGO ARPA - in seguito a numerose segnalazioni Arpa interviene a impianto fermo. Rileva comunque gestione dei rifiuti non adeguatamente compartimentata con possibili emissioni gassose nelle varie fasi.  I camion escono senza copertura. Bianchi spiega che sono padroncini ma ARPA rileva che è compito di AB verificare che la copertura ci sia. Bianchi afferma che il fresato ritirato da altri non viene usato per produrre conglomerato bituminoso cosa che invece avviene per il fresato dei propri cantieri. Ma di ciò, dice ARPA, non fornisce documentazione. AB non ha un registro per segnare gli orari di accensione e spegnimento né registrazione delle temperature. Arpa propone attivazione DGR 3018 e rileva che comunque le molestie olfattive rinviano a problemi sanitari che vanno analizzati da chi di dovere (ATS). A impianto fermo (ovviamente) non si rilevano ulteriori problematiche. Arrivano poi Perotti (Comitato Tutela ecc. di Cconcorezzo)  e Arch. Della Giovanna del Comune di Concorezzo che avvertono lievi odori non provenienti da AB (che è ferma). (??!!)

Oltretutto pare di capire che manchi ogni documentazione relativa alla montagna di fresato  (origine, provenienza, tipo ). Abbiamo letto recentemente :"per produrre l’asfalto in passato si usava anche il catrame, un derivato dalla distillazione del carbon fossile che ha un contenuto di IPA 10.000 o 100.000 volte maggiori del bitume. Il riciclo del vecchio asfalto fresato (se non controllato) potrebbe portare un consistente inquinamentov



La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza Cassazione n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.

La documentazione presentata in sede sia di istanza di AUA che di rilascio della stessa non ha dimostrato assolutamente che il suddetto fresato possa essere definito come sottoprodotto.


NOTA 5] E’ ormai pacifico che I materiali bituminosi provenienti da lavori di manutenzione stradale siano da considerarsi rifiuti speciali a tutti gli effetti e non sottoprodotti né terre o rocce da scavo.
La Corte di Appello di Firenze condannava il legale rappresentante di una società ad una rilevante pena pecuniaria per violazione dell’art. 256 d.lgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
La linea di difesa seguita dalla società sosteneva che la fresa d’asfalto, materiale oggetto delle contestazioni, era da considerarsi come sottoprodotto, diversamente da quanto sostenuto dall’accusa che riteneva tale materiale, a tutti gli effetti, rifiuto speciale. Inevitabile il ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 37168 del 09/06/2016, rigettava il ricorso ritenendolo infondato.
Le argomentazioni della sentenza richiamano il concetto stesso di sottoprodotto, la cui definizione è riportata dall’art. 184 bis del d.lgs. 152/2006.
Tale articolo stabilisce che è un sottoprodotto e non un rifiuto, qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.
Nel caso specifico non una delle condizioni era stata soddisfatta, in particolare: la società condannata svolgeva un’attività che aveva anche come oggetto la produzione del fresato, il concreto riutilizzo del fresato non era certo, il fresato era rilavorato nello stabilimento della società ed infine il processo produttivo non garantiva la tutela dell’ambiente e della salute umana. Correttamente la Corte di Appello aveva sancito che il fresato d’asfalto andava considerato “rifiuto speciale” e che il comportamento della società aveva violato il succitato art. 256 d.lgs. 152/2006 ed in particolare il comma 1 lett. a), il comma 2 e il comma 4.
La sentenza della Cassazione in commento richiama un’altra pronuncia (sentenza n. 46227 del 23 ottobre 2013) che ha escluso anche la classificazione dei materiali bituminosi, provenienti da escavazione o demolizione stradale, come “terre e rocce da scavo” in quanto queste ultime sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione.
Entrambe le sentenze eliminano ogni dubbio sulla natura di rifiuto speciale del fresato di asfalto proveniente da lavori di manutenzione straordinaria.
In realtà basta leggere con un minimo di attenzione le condizioni di cui all’art 184 bis del DLvo 152/06 per escludere questa possibilità.
 
Infatti l’art. 2, c. 1, lett. b), definisce residuo di produzione “ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non essere un rifiuto”, con ciò confermando che il sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente esclusione dei residui di consumo o, per esempio, del fresato d’asfalto).