Le rose di carta piantate sotto la panchina rossa, i mazzi e il giro tavola con le rose sono state realizzate dai ragazzi della scuola media De Filippo.
I cartelloni sono stati realizzati dai ragazzi del "Progetto compiti".
Grazie a tutti!
Le rose di carta piantate sotto la panchina rossa, i mazzi e il giro tavola con le rose sono state realizzate dai ragazzi della scuola media De Filippo.
I cartelloni sono stati realizzati dai ragazzi del "Progetto compiti".
Grazie a tutti!
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Secondo il Global Health Institute di Barcellona e il Public Health Institute svizzero, nell’area di Milano e Monza 5mila persone all’anno muoiono prematuramente a causa delle polveri sottili (Pm 2.5) e 2mila per il biossido d’azoto (NO2).
Secondo IIASA, l’International Institute for Applied System Analysis, il conglomerato urbano Milano-nord più Monza è al primo posto in Europa per decessi prematuri causati dall’inquinamento atmosferico.
Dati estratti da questo articolo che insiste sulla necessità di realizzare la M5.
Ma per noi c'è anche l'assoluta necessità di proseguire la M2 almeno fino a a Vimercate!
A Monza 9 strade stanno per essere trasformate in boulevard verdi. L'obiettivo è contribuire a creare un microclima urbano più salubre e abbellire la città.
Fine modulo
446 nuovi
alberi in 9 strade della città. Che diventeranno così dei boulevard verdi.
Il valore
complessivo dell’operazione è di 300mila euro, di cui 100mila finanziati
da Camera di Commercio Monza Brianza e Lodi
I boulevard
verdi
Gli alberi
verranno piantati lungo diverse vie e aree verdi della città. In particolare verrà integrato
con 90 querce il filare di viale Stucchi e verrà realizzato un filare di 150
alberi di Gledizia di diverse varietà in via Adda. Altri 66 alberi tra aceri,
querce, tigli e magnolie verranno messi a dimora in via Salvadori; 10 alberi in via Murri.
VEDI QUI IL POST COMPLETO:
A Monza 9 strade stanno per essere trasformate in boulevard verdi
https://www.monzatoday.it/attualita/nuovi-alberi-in-9-strade-diventano-boulevard-verdi.html
© MonzaToday
Ci è stato chiesto qualche consiglio per il progetto di "Scambio libri" che nascerà a San Biagio. In base alla nostra esperienza di questi sei anni abbiamo stilato una specie di vademecum per chi volesse cimentarsi in un progetto analogo.
CQSASD
SUGGERIMENTI
PER SCAMBIO LIBRI
Domande preliminari:
Ø Chi siamo
Ø Quanti siamo
Ø Cosa vogliamo fare - Obiettivo
preliminare (iniziale)
Ø Ogni volta definire “chi fa cosa”
Ø Definire tempi di apertura regolari
(avvisare la popolazione)
Ø Definire in modo condiviso ruoli e
regole di gestione delle attività e del gruppo di lavoro
Ø Tipo di utenza cui ci si rivolge
(magari in scala di priorità: anziani, studenti, giovani ecc.)
Ø Ipotesi sul tipo di domanda che viene
dall’utenza
Ø Analisi delle risorse attivabili
Consulta e enti
partecipanti; scuole del territorio; agenzie educative varie tipo oratori, parrocchia,
Scout, centri di aggregazione, società sportive; amministratori e politici
sensibili. Mappa delle agenzie pubbliche contattabili (assessorato cultura,
servizi sociali ecc.)
Enti profit
e possibili finanziatori attivabili (commercianti, associazioni di categoria
ecc.)
Associazioni
culturali ecc.
Possibili finanziamenti attraverso bandi e progetti
Domande in itinere
Ø Tipo di domanda che emerge nel tempo
dal contatto con l’utenza.
Ø Attivare risposte/modificare tipo di
utenza prioritariamente scelta o allargare a più utenze (con risposte
diversificate
RAPPORTI CON LA CONSULTA DI QUARTIERE
Partecipare con le altre realtà del quartiere ad
eventuali “Patti di cittadinanza”.
La Consulta può fungere da volano delle relazioni con
le varie agenzie del territorio e cercare collaborazioni con altri gruppi
analoghi di altre consulte. Ad esempio per condividere iniziative culturali
(es. presentazione di libri; mostre di foto e quadri; iniziative condivise per
giornata della memoria, giornata della donna ecc. ecc. Possibili attivazioni di
contatti con “gruppi di lettura” di altre zone (es. San Fruttuoso).
Ø COMUNICAZIONE INTERNA
Raccolta
numeri di telefono
Organizzare
catena telefonica partecipanti
Creare
gruppo whatsapp dei partecipanti
Sempre utile
pensare a una periodica supervisione esterna (magari attivando esperti
volontari)
Ø COMUNICAZIONE ESTERNA
Definire uno
o più incaricati della gestione
Creare
agenda contatti telefonici
Creare
gruppi whatsapp dei contatti divisi per tipo (es. giornalisti della stampa
locale, oratori, scuole, riferimenti politici ecc. ecc.)
Creare
gruppo Facebook (o associarsi a gruppi esistenti nel territorio)
Creare pagina
Instagram
PS: Quando
si creano i gruppi occorre chiedere autorizzazione agli interessati
Ø STRUMENTAZIONE E TIPO LIBRI ECC.
Se ci sono
problemi di spazio può essere necessario rinunciare al ritiro di enciclopedie,
dizionari e testi scolastici.
Partire, se possibile, da
una buona dotazione di scaffali. Altrimenti rimediare con cassette (tipo quelle della frutta).
Casetta
esterna per scambio libri.
Ove possibile strumenti tecnologici necessari per serate/eventi culturali (videoproiettore, telon, portatile, microfono e altoparlante ecc.)
Ø POSSIBILI FONTI DI FINANZIAMENTO
Vedere se
sono attingibili finanziamenti da parte di associazioni come Lyons, Rotary ecc.
Vedere se si
può accedere a bandi (Fondo sociale europeo, Bandi Cariplo, Fondazione Monza e
Brianza ecc.).
Valutare
possibili azioni di autofinanziamento (vendita libri a offerta libera ecc.)
Ø ORGANIZZARE ANGOLO CAFFE’/MERENDA
Spazi
informali d’incontro e socializzazione aperto a tutti (con macchina del caffè,
bibite, qualche dolcetto).
Ø Emeroteca
(giornali e riviste)
Ø CATALOGAZIONE
esistono
software per scannerizzare i codici ISBN riportati sui libri e fare
automaticamente un elenco.
Altrimenti
è possibile suddividerli per tipologia (letteratura straniera, letteratura italiana,
fantasy, fantascienza, gialli, saggistica di vario tipo ecc.).
A tal fine
in assenza di spazio sufficiente negli scaffali è possibile utilizzare
temporaneamente delle cassette da frutta per fare una prima selezione. Poi si
possono ordinare per ordine alfabetico le singole categorie.
Infine
riporre negli scaffali secondo l’ordine già organizzato con le cassette
.........................................
Importante è partire senza troppe aspettative mirando in primo luogo a coltivare le relazioni umane.
In campagna elettorale si è promesso: STOP AL CONSUMO DI
SUOLO! Ma questa promessa è stata CONTRADDETTA dai fatti.
Ci limitiamo a quello che sta succedendo nella zona est di
Monza e a S. Albino.
DECINE E DECINE DI MIGLIAIA di metri quadri di terreno
libero e coltivato già sacrificati o che rischiano di esserlo, per la
costruzione di capannoni e supermercati.
Sono stati già realizzati recentemente: Eurospin, Audi, e
ora l’ampliamento di Elesa.
Poi altri interventi autorizzati come quelli dell’area della ex Fiera. Un’ area pubblica importantissima, alienata
dall’amministrazione Scanagatti, messa in vendita da quella di Allevi ed ora
definitivamente compromessa per costruire due altri supermercati in un’area già
stracolma di traffico e centri commerciali! Era un’area libera che avrebbe
potuto essere depavimentata e trasformata in un parcheggio alberato a servizio
delle strutture sportive lì vicine (stadio e palazzetto). Ma la Giunta denuncia
di avere…le mani legate. Per loro
esistono solo i diritti edificatori degli acquirenti. Per molti esperti invece la
legge può e deve tutelare sempre e comunque il bene della collettività.
Poi ci sono altri interventi possibili:
Aruba
in area Malcantone. Insediamento che questa amministrazione auspica, senza considerare l’impatto
urbanistico e ambientale che questo potrebbe avere. Oltretutto in un’area su
cui sia Regione che Provincia hanno posto vincoli ambientali tuttora validi.
Altre decine di migliaia di mq di aree comunali poste tra la zona industriale di viale Sicilia e il
quartiere Sant’Albino sono state inserite nell’elenco dei beni alienabili e a
questo punto cementabili. Il nostro Comitato di quartiere aveva già chiesto che
quelle aree venissero restituite alla funzione agricola ai tempi
dell’approvazione del PGT attuale, ma i nostri appelli sono rimasti INASCOLTATI.
Ora pensate cosa potrebbe succedere al quartiere una volta che tutte quelle aree
fossero pavimentate e impermeabilizzate. Nel caso di ormai ricorrenti eventi
climatici estremi vogliamo fare la fine di Emilia e Valencia?
Per finire, sempre vicinissime a S. Albino e San Damiano ci
sono le Cave Rocca, sulle quali
pende un progetto devastante che persino l’Assessora Sassoli (giunta
precedente) aveva fermato.
La maggior parte degli interventi citati sono lungo una
arteria già ipercongestionata dal traffico, il viale Stucchi, per il quale non è previsto a bilancio nessun
intervento viabilistico serio. E’ ben prevedibile per il traffico su S. Damiano
e Sant’Albino la completa paralisi, con relativo aumento dell’inquinamento.
La
giunta ha promesso consumo di suolo negativo. Chi può crederci?
Ed ecco la parola magica: “compensazioni”. Si devasta il territorio in cambio di un po’ di alberelli
e di qualche ciclabile calata dall’alto senza criterio.
Per l’intervento di Elesa, già partito alla grande, siamo
ancora in attesa delle fatidiche piantumazioni su aree pubbliche già esistenti
(che quindi non compensano affatto la perdita di suolo libero). E dove dovrebbe
nascere il promesso “Parco S. Albino” l’unica cosa che s’è vista è
l’eliminazione della vegetazione spontanea già esistente.
La
giunta promette di sistemare tutto con la variante al PGT. Ma i vari costruttori
non attendono nuove disposizioni più penalizzanti e sono già in piena attività
edificatoria.
Finora le richieste dei Comitati e delle Associazioni di
Monza sono rimaste inascoltate. Un grave autogol per questa giunta che rema
contro sé stessa.
Noi le proposte nei nostri Libri bianchi le abbiamo fatte.
Ad oggi sono totalmente inascoltate. Quindi è l’amministrazione che rema contro
sé stessa e anche contro chi l’ha votata. E’ meglio che cerchi di rimediare sia
pure in extremis.
CQSASD
Comunicato stampa:
presidio antifascista Sabato 9 novembre 2024 h16.30 via Turati 8 Monza
Sabato 9 novembre alle ore 17 presso il Binario 7 a Monza, è previsto un incontro organizzato da LEALTÀ AZIONE, realtà di estrema destra nata in Lombardia e presente dal 2010 con le proprie sedi a Milano e Monza.
Lealtà Azione è una diretta emanazione degli ambienti Hammerskin, ma con ambizioni a più ampio raggio. In questi anni si è sviluppata sul territorio nazionale tramite la costituzione di diverse branche, tra cui Memento che ha lo scopo di commemorare i militi della RSI.
Lealtà Azione ha sottoscritto la dichiarazione prevista dall'amministrazione comunale di Monza per la concessione di spazi pubblici in cui afferma di riconoscersi nei valori antifascisti della Costituzione della Repubblica.
Ci chiediamo cosa significhi e quale valore possa avere questa firma, in quanto tale organizzazione si ispira, tra gli altri, a Ezra Pound (poeta stimatore di Hitler e Mussolini), Léon Degrelle (collaborazionista della Germania nazista, arruolato nelle Waffen-SS), Corneliu Zelia Codreanu (fondatore della Legione dell’Arcangelo Michele, meglio conosciuta come Guardia di Ferro, milizia armata di ispirazione cristiana, fascista e brutalmente antisemita). Quindi, idee e principi diametralmente opposti a quelli sanciti nella nostra Costituzione, che è completamente antifascista ed è nata dalla Resistenza. Chiamiamo tutti i cittadini antifascisti a partecipare al presidio antifascista sabato 9 novembre 2024 dalle 1630 alle 1830 in Via Turati 8 a Monza per ribadire che nell’Italia democratica non devono essere concessi spazi pubblici alle realtà che si richiamano direttamente al fascismo e al nazismo.
Anpi Monza-Sezione Gianni Citterio
un cooperante di Branco (emanazione solidaristica di Lealtà e Azione) che consegna pacchi (ndr. solo agli italiani). Dal sito di Lealtà e Azione. Notare i tatuaggi storico-commemorativi. |
Metodi 4 – QUARTO INCONTRO DEDICATO ALLA FORMAZIONE DELLE
CONSULTE DI MONZA
Tema di oggi: la CO-PROGRAMMAZIONE E LA CO-PROGETTAZIONE
In tale ottica la PA apre ad un lavoro di parternariato con
il 3° settore per una migliore programmazione e progettazione. In questo
contesto il 3° settore a sua volta intende partecipare alla programmazione e
alla progettazione con PA in un rapporto di reciproca valorizzazione. Questo
approccio è definito anche “welfare di comunità” secondo un “principio di
sussidiarietà cicolare”.
Nella progettazione ed erogazione di servizi non ci si ferma
più al tradizionale bipolarismo STATO – MERCATO
ma si crea un TERZO POLO che non mira solamente, come il mercato, al
profitto ma che vuole anche evitare l’ assitenzialismo.
Questo approccio mira a coinvolgere le molte e diverse
agenzie pubbliche e del non profit senza escludere neppure il profit del
territorio che può dare a sua volta un supporto importante
Ovviamente la legge del 2017 citata sopra è il punto di
partenza. Secondo l’art. 5 la PA deve identificare bisogni e ipotesi di intervento. A questo
punto chiede al 3° settore di ma occorre
poi contestualizzare
Art 5 pa identifica bisogni e interventi
Chiede al 3° settore di co-progettare. La collaborazione fra
pubblico e 3° settore può produrre arricchimento e favorire l’innovazione. Può
anche ampliare le risorse in campo.
Per la chiamata a collaborare rivolta al 3° settore la PA
segue procedure di evidenza pubblica (bandi).
In Lombardia per esempio la co-progettazione riguarda i “piani
sociali di zona”. Sono tavoli permanenti cercano di definire programmazione a
lunga durata e una strategia territoriale.
Oggi anche i piani urbanistici possono nascere in questa
ottica di co-programmazione (visione verso il futuro) e co-progettazione. La co-progettazione
mira a definire e realizzare gli specifici progetti prima co-programmati.
Co-programmazione e co-progettazione sono due cose diverse e
hanno una tempistica diversa. Prima si elabora una visione strategica di
programma sulla durata (co-programmazione). Solo poi si elaborano e realizzano
i progetti che devono concretizzare la programmmazione. Oggi spesso di fa un
“progettificio” senza alcuna visione programmatica.
Un esempio-
Problema anziani – come prevenire il ricovero in istituti? Programmo
per i prossimi anni servizi di assitenza domiciliare. E poi li realizzo in
progetti concreti nel territorio.
I progetti si fanno in co-progettazione (dopo una co-programmazione
che è prioritaria).
L’aumento della complessità e delle fatiche sociali
impongono di mettere insieme le forze di diversi attori sociali. Il presupposto
è proprio dato da problemi che il singolo attore non può affrontare da solo. Occorrono
competenze e idee da mettere assieme per affrontare problemi complessi che il
regime di concorrenza o competenze specifiche e separate non possono risolvere.
Passaggi utili: unire le forze diverse; uscire da logiche
settoriali; mobilitare assieme le risorse (economiche ma non solo); coordinare più attori che
convergano verso obiettivi comuni (sostanzialmente la cura della propria
comuntà). Queste scelte fanno crescere dentro le comunità la solidarietà che
non è solo una scelta etica ma anche funzionale a realizzare forme di collaborazione
che danno risposte solide ai bisogni del territorio. La autosufficienza oggi
non va lontano.
Tutte queste attività richiedon processi virtuosi. Ad
esempio apprestare una “cassetta degli attrezzi” con strumenti che ci aiutino a
valutare i risultati del lavoro fatto misurandoli nel tempo evalutandone
l’impatto sociale ( come e quanto ha funzionato il nostro lavoro?)
Il welfare di comunità come già detto esce da pure logiche
assitenzialistiche ma anche dagli interessi esclusivi del mercato.
Richiede e realizza corresponsabilità di molti attori a
favore in primo luogo dei più fragili ma anche per una coesione sociale che
avvantaggia tutti.
Co-programmazione e co-progettazione sono due processi che
vanno assieme.
Creare reti comunità significa creare forme di intelligenza collettiva
di cui oggi abbiamo grande bisogno.
Terzo incontro con “Metodi” (progetto formativo per le Consulte di Monza)
Incontro 3 – formatore psicologo di comunità
Tema: Lavoro di rete
Si parte con qualche osservazione sulle criticità
In primo luogo occorre trovare un senso alle cose. Per fare questo occorre TEMPO
Il tempo è un elemento cruciale del lavoro di rete. Lavorare con gli altri richiede TEMPO.
Oggi la gente dedica sempre più il proprio tempo ad attività individuali. C’è una fuga dalla collettività.
- Abbiamo bisogno di rilanciare la proposta di collettività (rivendicazione che ora sembra appannaggio solo di fanatici, nazionalisti e estremisti religiosi ecc.).
- Dobbiamo costruire aree di conforto in cui riprendere il gusto di stare insieme
Il lavoro di rete, il coltivare reti può essere la risposta per riportare al centro lo stare insieme agli altri, per ritrovare il senso dello stare insieme e del fare le cose insieme (che non mira semplicemente a “fare le cose e stop”).
Segue brainstorming sul tema della RETE – si propongono varie associazioni di idee
Ad es. la parole rete ci può portare al calcio, al goal, al raggiungimento di un obiettivo. La rete può anche essere una protezione ma può anche imbrigliare (come la rete da pesca) – c’è poi la rete come connessione – la rete web – e ancora la rete come tessitura ma anche come lavoro faticoso ecc. ecc.
Da numerosissime ricerche emergono moltissimi aspetti positivi del lavoro di rete:
es. dalle esperienze della psicologia dell’emergenza si evidenzia il fatto che proprio nelle situazioni di crisi viene a galla il senso di comunità e le strutture sociali esistenti aiutano molto. Ad esempio il relatore parla di progetti durante il Covid a Seriate. In questo caso le reti (formali e informali; con operatori di prossimità) sono emerse visibilmente, soprattutto nel sostegno agli anziani su cose pratiche tipo procurare spesa, ossigeno ecc.
La costruzione di una rete è faticosa. Perché la rete è composta da persone che mantengono una propria identità e che anzi hanno spesso una forte personalità e identità.
Fare rete oggi è fondamentale perché da soli non ce la si fa ed il welfare sconta grandi problemi economici.
Oggi vi è un diffuso individualismo. NeI lavoro per gli anziani citato è emerso il fatto che spesso vi sono molti servizi ma che non comunicano tra loro. Un obiettivo primario può essere proprio quello di mettere in rete tutti questi soggetti. Il lavoro di rete mira poi a riattivare corresponsabilità e senso civico. Occorre fare in modo che tutti i partecipanti sentano la cosa come propria. Occorre imparare a condividere risorse, non tanto e non solo economiche. Ad esempio si può fare rete per trovare spazi in cui fare cose. La rete mira a creare relazioni fra organizzazioni coordinandole appunto in un reticolo.
Esiste anche una normativa che favorisce il lavoro di rete ma alle volte anche la questione normativa diventa un peso.
In primo luogo le reti sono fatte di persone con nomi e cognomi e loro personalità e storia. La partecipazione dipende anche da come sono le persone e da come si pongono con gli altri.
Il lavoro di rete avviene anche secondo le indicazioni fornite dalla cosiddetta “teoria dei legami deboli”. Secondo tale teoria le reti possono fondarsi anche su “ legami deboli”, connessioni che si realizzano anche senza una conoscenza reciproca. Ad es. nel progetto di cui sopra tali “legami deboli” si realizzarono attraverso la rete dei negozianti che divennero dei “natural helpers”, delle sentinelle di quartiere pronte a segnalare ad es. il mancato contatto con un anziano in quel dato giorno ecc.). Reti molto leggere che non impongono impegni gravosi ma che bastano ad agganciare tra loro persone per connetterle in una rete utile.
Questo signifia anche responsabilizzare i territori creando ad esempio delle “ mappe di sentinelle di prossimità”.
Altre reti costituite invece da legami forti sono ad esempio le amicizie.
Consigli per il fare rete:
trovare qualcosa di importante che ci unisce
chiedersi come possiamo gestire il problema
chiedersi cosa genera questo problema
chiedersi in quale contesto siamo? Tra l’altro spesso abbiamo in testa geografie diverse.
Chiedersi chi sono i soggetti maggiormente interessati
Fare un “sociogramma”, cioè uno schema. Al centro scriviamo il problema. Attorno i vari soggetti attivabili (soggetti pubblici e formali ma anche informali tipo il mondo dei commercianti, degli esercizi frequentati dai giovani ecc.).
Il relatore fa l’esempio di un signore che arriva alla ricerca di libri e pian pano mette in piedi un bookcrossing. Pian piano cominciano ad arrivare altri che magari sentivano solo il bisogno di non stare soli.
Anche l’informalità ha un suo potere. Chiedersi: come li agganciamo? Quali contributi possono dare? Quali passioni hanno attraverso cui agganciarli? Alle persone spesso piace qualcosa e poi scoprono che questa passione si può mettere in rete. Occorre coltivare anche il piacere (non solo il dovere).
Le persone possono essere poi traino per altri. Partire dalle persone più motivati (la cosiddetta tecnica della “palla di neve”).
Per fare tutto ciò occorre uscire dai nostri confini, andare dove le persone stanno.
Es. giovani: cercarli nei loro luoghi di aggregazione (locali, parchetti ecc.).
Costruire luoghi di prossimità anche in spazi non formalizzati.
Tenere presente che non tutti i temi sono interessanti per tutti. Ad esempio il tema della salute mentale di solito è tabù. Ma anche in questo caso il formatore cita esempi in cui pian piano, partendo da iniziative ludiche in quartiere anche persone malate sono entrate in relazione e si è scoperto che il tema in realtà toccava direttamente o indirettamente tutto il quartiere. Tutto ciò implica investimento in attività, costruire una visione condivisa, obiettivi comuni di lavoro.
Lavorare sulla vision: “prova a immaginare il quartiere fra 10 anni”. Interessante fare questa domanda a diverse fasce d’età.
Motivare le persone (spostare dal problema alla possibilità di una soluzione).
Dopo aver disegnato questa mappa del problema e delle possibili risorse attivabili occorre definire degli obiettivi (anche pochi ma concreti e avvicinabili). Meglio partire da piccole cose per sperimentare e far sedimentare la collaborazione
Nel lavoro di rete occorre avere funzioni di coordinamento (pratico ma anche delle relazioni; stimolare anche il piacere di connettersi con le persone).
Definire i metodi.
Ci sono diversi livelli di collaborazione possibili
- Non conosciamo gli altri – cominciamo col conoscerci (almeno per stereotipi iniziali – solo col tempo conosci, davvero facendo cose insieme)
- Alle volte ci si può accontentare di disegnare assieme una mappa dei problemi
- Poi usiamo metodi digitali, riunioni coi coordinatori; passaparola.
Ovviamente a diversi livelli di collaborazione corrispondono diversi modi di cooperazione (ad es. condivisione spazi; fino alla condivisione di rischi, risorse, responsabilità; progettazione partecipata ecc.).
La collaborazione va curata. La fiducia negli altri va coltivata e protetta. Usare questi spazi come elementi di trasformazione insieme.
SINTESI
La rete può cambiare la nostra visione degli altri.
Se la cosa non mi interessa non entro in rete
Vi sono cose che impongono tappe progressive di consapevolezza ( vedi l’es. precedente sulla salute mentale).
Cè il tema dei costi/benefici (le persone generose vanno protette o scoppiano). Occorre equilibrio
Occorrono risorse economiche (occorre anche progettare per finanziamenti; spesso conoscere altre esperienze aiuta a progettare assieme – cercare di monetizzare il lavoro di rete)
Ci sono disequilibri di potere nelle comunità (aspetti di personalità ma anche aspetti storici ; elementi da valorizzare ma anche da equilibrare).
Il tema organizzativo è importante: definire chi fa cosa – informazioni semplici e essenziali - la comunicazione interna ed esterna è importantissima.
Ricerca di obiettivi comuni anche parziali
Cercare fondi (anche piccoli, tipo quelli che si usano in USA come mini incentivi da dare a gente del quartiere)
TEMA DEL COORDINAMENO
Alcune buone pratiche:
- Coordinamento - segreteria di rete – rubrica – aggiornamento costante delle nostre mappe – registrare anche contatti fluidi da tenere – invio delle comunicazioni e come farle – distribuzione dei compiti per garantire corresponsabilità e evitare squilibri – facilitazione ( metodi, clima, la gente porta da mangiare, le chiacchere ecc.)
- Progettualità – ricerca fondi – tema dell’efficacia – valutazione dell’evento (ma anche un momento un po’ celebrativo e conviviale; simboli gratificatori ecc.).
- COMUNICAZIONE – MATERIALE PRODOTTO – LINGUAGGIO –
- problema della conflittualità (spesso implicita, che lavora sotto sotto).
- Le reti sono fatte di persone che devono sentirsi parte – atteggiamento di ascolto e mediativo – prossimità (essere vicini, conoscere gli altri, rapportarsi a ciascuno secondo modalità adatte e non standardizzate).
- Conoscere quello che già c’è (valorizzare ciò che c’è già).
- Il tema dei LUOGHI che facilitano. Anche la nostra disposizione fisica è importante.
- Cura delle relazioni
- Valorizzare le competenze già esistenti.
- Atteggiamento accogliente (salutare ecc.; informalità)
- Costruire accordi di rete (es. patti educativi) – scrivere nero su bianco.
Il Tema del coordinam è fondamentale (o c’è rischio di dispersione)
Rete – prima occorre capirne il senso
Il tema degli accordi viene dopo
Il metodo è importante (orientamento ed efficacia dell’ incontro)
Eterogeneità va bene – ma occorre almeno un piccolo nucleo coeso
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Sfaldamento della rete – in primo luogo occorre accorgersene
Vedi slide con Lista di controllo dello stato d rete
Es. dare spazio a tutti nella discussione (metodi – piccoli gruppi ecc.)
Mancata partecipazione o silenzio sono sintomi di malessere
Segreteria di rete – che tra le altre funzioni riaggancia chi se ne va
Accorgersi degli altri
Dare spazio al conflitto è importante (magari dando un tempo)
TROVARE COSE MOLTO CONCRETE (ad es. con i giovani: costruire eventi)
Leadership partecipativa (ma comunque leadership)
Rete delle realtà da contattare x il dato tema (e fare primi incontri)
Partire da piccoli reticoli e da persone che possano fungere da traino e da tramite
Fare assieme aiuta
Operativo e relazionale vanno assieme
I conflitti impliciti sono cose gravi
Raccolta fondi ; Foundraising, croudfunding, autofinanziamento, bandi di finanziamento (specie x iniziative di lungo termine)
I percorsi formativi sono importanti per avviare una rete (ad es. sulla salute mentale)
Come sempre in premessa chiariamo che il nostro Comitato si è dimesso dalla Consulta perché ritiene che la nostra amministrazione non riconosca (come del resto le precedenti) a tale organo un ruolo di reale e incisiva partecipazione. Tuttavia molti membri del Comitato cercano comunque di presenziare sperando di allargare l'impegno della Consulta a questioni cruciali che riguardano la vita del quartiere: viabilità più sostenibile, lotta all'inquinamento automobilistico e industriale, tutela del territorio e del verde, contrasto al disagio e alla solitudine, rivendicazione di spazi sociali e culturali ecc.
CQSASD
Comunque ecco l'invito alla riunione che ci arriva dal Comune:
Gent.mi/e, buongiorno!
Sintetizziamo qui l'intervento del formatore.
Il Regolamento della Consulta è lo strumento fondamentale da analizzare. Da tale analisi emerge in primo luogo il ruolo fondamentale assegnato al Coordinatore della Consulta.
Il coordinatore deve essere il garante della partecipazione; il garante dei processi (definizione dei contenuti ma anche dei processi decisionali); ma anche il garante delle relazioni fra i membri della Consulta. Il coordinatore conduce e facilita i lavori della Consulta e cura le relazioni fra i membri. E’ un ruolo fondamentale e gravoso.
Il Comma 10 art 5 definisce il metodo scelto per la Consulta:
un metodo partecipativo e inclusivo
Il processo decisionale richiede un serie di passi. In primo luogo occorre un ordine del giorno condiviso
Decidere insieme è difficile
1) Decisione a maggioranza – non è prevista nel
Regolamento.
Il regolamento delle Consulte di Monza privilegia altre
alternative rispetto al modello “maggioritario”. Il modello a maggioranza
infatti causa inevitabilmente una polarizzazione.
Alcuni studiosi parlano di un modello relazionale e
decisionale di tipo paterno (nel senso dell’autorità paterna che si impone) in
contrapposizione ad un modello “fraterno” (relazioni tra pari). Il Regolamento delle Consulte di Monza si ispira maggiormente al secondo modello.
Nella ricerca di un modello più partecipativo e condiviso
anche la disposizione delle persone ha una ricaduta. Il “cerchio decisionale”
risulta più coerente rispetto alla disposizione ex cathedra dove i coordinatori
stanno dietro un tavolo e gli altri fungono da pubblico.
In primo luogo occorre mettere in discussione il “mantra
decisionista” secondo il quale quello che conta è sempre e comunque decidere ad
ogni costo. Ovviamente la condizione ottimale sarebbe quella di una decisione
consensuale fondata sulla reciproca fiducia. Ma per arrivare a ciò occorre un metodo di lavoro che aiuti a prevenire
e a gestire le inevitabili situazioni di divergenza e conflitto. Tra l’altro
anche il conflitto non va demonizzato perché correttamente gestito può essere
una risorsa (Bateson: ”stare con la differenza senza eliminarla”) .
Per produrre processi partecipativi orientati al consenso
(ovviamente inteso come libera scelta di ciascuno) è utile considerare 3 fasi
distinte del processo:
1) Fase preparatoria
– tutti devono essere informati a priori di tutto (Odg, agenda, tempi, metodo
di lavoro e di processo decisionale, documenti
necessari ecc.)
2) Fase assembleare – Occuparsi di “teste testi e contesto” –
Occorre cura dell’ambiente (ad es. il luogo condiziona – meglio evitare la cattedra
– tutti seduti pariteticamente senza livelli simbolici diversi che creano
separazione – iniziare ricondividendo la fase preparatoria (ricordare odg,
agenda e passi da fare ecc.) – ribadire il metodo: spiegare anche le varie funzioni e
valutare assieme cosa tutti ne pensano (siamo d’accordo sul metodo di lavoro?).
La ricerca di un “metodo del consenso “ richiede infatti un prioritario "consenso sul
metodo".
3) Fase esecutiva -
verifica dell’effetto delle decisioni prese.
Partecipare è sapere per influire. Partecipare è realizzare
assieme. Questo metodo partecipativo si fonda sulla facilitazione. La
facilitazione può essere gestita da specifiche figure professionali ma anche
no. In questo caso la facilitazione può anche essere assunta dall’intero gruppo
o delegata a qualcuno che si sforzi di far funzionare la riunione.
Le posizioni conflittuali non vanno demonizzate. Possono avere un ruolo utile. Ma occorre anche sapere come gestire queste situazioni. Nella logica della ricerca del consenso si può chiedere alla “minoranza” di argomentare per far cambiare idea alla “maggioranza”. Si può anche ricorrere alla “tecnica del rispecchiamento”: chiedere a chi è contro di spiegare la posizione altrui (l’hai capito bene? Forse in realtà non ci si è capiti e c’è stato un fraintendimento). Alla fine la minoranza può esporre le proprie tesi. A questo punto si può chiedere se la maggioranza ha cambiato idea (anche qui usare il “rispecchiamento”: hai capito bene quello che ti dico?). Anche le maggioranze sono spesso masse fluide i cui membri condividono un parere ma con sfumature diverse. A questo punto la maggioranza può anche accettare un qualche cambiamento. Spesso il conflitto nasce infatti da incomprensioni o malintesi. E qui anche la postura comunicativa è importante.
Alla fine a posizioni invariate la minoranza può dire:
Se la minoranza chiede una sospensione la maggioranza dice se accetta e in tal modo si torna ai casi 1 o 2.
Alle volte il conflitto resta insanabile e solo qui magari si
opta per un rinvio o per una decisione maggioritaria. Alla fine comunque una
decisione va presa – anche la non decisione è una decisione.
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Altre questioni poste:
Come condividere un parere su questioni rispetto alle quali non tutti hanno le stesse competenze (ad es. norme urbanistiche)? Risposta: cercare di ovviare fornendo a tutti nella fase preparatoria le informazioni necessarie.
La partecipazione richiede rigore metodologico.
E’ un processo indispensabile. Anche se vi sono presenti
persone con ruoli specifici la facilitazione deve essere un contenuto e un atteggiamento
corale (indispensabile principio di corresponsabilità).
La facilitazione riguarda:
La cura delle relazioni è un tema
socioaffettivo. Occorre favorire un buon clima del gruppo e coltivare il desiderio
di lavorare insieme con l’altro; non si sta insieme solo per bisogno o per
seguire il mantra del dover-essere. A questo proposito occorre imparare anche a
prendersi cura di sé e a volte è buona cosa prendersi un anno sabbatico. Il
facilitatore (ufficiale o meno) cura tutti questi aspetti.
Suggerimento di metodo: Il coordinatore/facilitatore non
dovrebbe entrare nel merito dei contenuti (a meno che lo espliciti direttamente
e in tal caso è opportuno si faccia sostituire nella funzione di coordinatore.
Il coordinatore infatti può condizionare (è una scelta
discrezionale del coordinatore). L'importante però esplicitare ogni volta. Il
Coordinatore deve avere cura dei processi e delle relazioni. La cura è un
principio etico ma esso va realizzato in un metodo di lavoro).
Obiezione di un ascoltatore: il coordinatore poi si muove
sui tavoli comunali come un portavoce in qualche modo autonomo.
Risposta: nel Tavolo di coordinamento il coordinatore
rappresenta la propria consulta e non fa scelte personali. Il Regolamento non
dice mai che il coordinatore sia un portavoce.
Altre questioni
Chi è il gruppo? Risposta: in quel momento il gruppo è costituito dai
presenti.
Più ci si sente parte di un gruppo e meglio è. I non detti invece producono danni, così come il non darsi regole.
Altri temi importanti
E’ impossibile non comunicare. La comunicazione non verbale nel gruppo ha un ruolo molto importante. Essa è espressione di emozioni potenti.
· Risultati da enumerare alla fine di ogni incontro
- Risultati sul piano dei contenuti (cosa abbiamo deciso?)
- Risultati sul piano del processo decisionale (come è
andata?)
- Risultati sul piano dei rapporti (fra i membri del gruppo)
- Risultati sul piano della crescita personale
- Risultati sul piano sociale e politico
Soprattutto i primi tre punti sono importanti per la vita
del gruppo
Se cresciamo tutti assieme cresce il benessere delle nostre
comunità.
Il metodo influenza il prodotto finale del gruppo. I
processi decisionali devono rispettare le indicazioni del Regolamento che deve
essere sempre il punto di riferimento.